Quello che Salvini non dice (e finge di non ricordare) sulle sanzioni alla Russia
Proprio quella Lega che oggi le aborre, quando ha avuto la possibilità di metterle in discussione, le ha invece rinnovate
A dimostrare la presenza di un certo tasso d’ipocrisia, nelle critiche di Salvini alle sanzioni alla Russia, basterebbe l’evidenza storica. Basterebbe ricordare, cioè, che proprio quella Lega che oggi le aborre, quando ha avuto la possibilità di metterle in discussione, le ha invece rinnovate.
La prima volta successe a fine giugno del 2018: il governo gialloverde, quello “del cambiamento”, s’era insediato da poche settimane, ma cambiò ben poco sul fronte orientale. Conte andò a Bruxelles per il suo esordio in Consiglio europeo, e avallò il rinnovo delle sanzioni. Il tutto, malgrado nel famigerato “contratto di governo” si leggesse: “E’ opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico”. Ma si sa, una cosa sono gli accordi scritti, altra la realtà. E infatti per due volte ancora – a metà dicembre 2018 e nel giugno 2019 – il governo gialloverde confermò, in sede europea, il prolungamento delle sanzioni. Di cui peraltro l’Italia ha sofferto ben meno di altri partner Ue, a dispetto della propaganda leghista che ci vorrebbe come supreme vittime della stretta commerciale con Mosca. Stando infatti ai dati elaborati dall’Ispi, da quando le sanzioni vennero inaugurate, dopo l’annessione della Crimea nel 2014, il paese che ne ha più risentito è stata proprio la Russia: -35,8 miliardi d’interscambio commerciale. Subito dopo, però, c’è la Germania, con ben 23 miliardi di passivo. Poi c’è la Francia (-4,7), la Polonia (-4,4) e l’Olanda (-4,1). L’Italia è sesta, in questa classifica: con un ammanco sulla bilancia commerciale di 3,5 miliardi.