Tutti contro Putin. Così si chiude la legislatura più filorussa e anti-Ue di sempre

Luciano Capone

L'Italia uscita dal 4 marzo 2018 ha messo in discussione il suo ruolo nel mondo, quello di fondatore della Nato e dell'Ue. Dall'infatuazione per la Russia alla sbandata per la Cina, eravamo il ventre molle dell'Occidente. Ora non più

Dopo l’attacco militare sferrato dalla Russia  all’Ucraina, il Parlamento italiano si è mostrato unito come raramente accade. Tutti i partiti di maggioranza, da destra a sinistra, inclusa la principale forza di opposizione guidata da Giorgia Meloni, hanno condannato l’aggressione di Vladimir Putin e si sono schierati senza distinguo dalla stessa parte: quella dell’Unione europea e dell’Alleanza atlantica.

 

La costituzione di una posizione interna condivisa che riflette il fronte comune con Washington e Bruxelles pare un esito scontato, ma non lo era affatto. Perché mai nella storia repubblicana come in questa legislatura è stato messo in discussione il posto dell’Italia nel mondo,  il suo ruolo di paese fondatore della Nato, dell’Ue e dell’euro. Il 4 marzo 2018 è   una data che avrebbe potuto avere nella storia italiana il significato opposto del 18 aprile 1948. Probabilmente a molti sfugge, perché questa legislatura ha subìto diversi capovolgimenti politici, ma le ultime elezioni  avevano  dato al paese, per la prima volta dopo il secondo dopoguerra, una maggioranza anti-europeista e anti-atlantista.

 

Nei programmi elettorali di M5s e Lega, i partiti usciti vittoriosi dalle urne, il prodotto avariato di un malinteso concetto di “sovranità”, i “nemici” dell’Italia venivano individuati in Europa: a Bruxelles, Berlino, Francoforte e Parigi. Mentre i nuovi “amici” stavano fuori dai confini occidentali: a Mosca e Pechino. Dal 2018 al 2020, a Russia e Cina era chiaro che l’Italia rappresentasse il ventre molle dell’Europa e dell’Occidente: quasi non gli sembrava vero di poter fare affidamento su degli utili idioti così disponibili, al governo di uno dei più importanti paesi dell’Ue.

 

Ancor prima di arrivare al governo, M5s e Lega hanno portato avanti – si spera gratuitamente, sebbene non sia una giustificazione – il progetto politico di Putin. Prendiamo proprio la crisi ucraina. Il M5s era schierato contro l’Accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Ue, all’origine della rivoluzione di Euromaidan, dai grillini definita un “colpo di stato” dell’Europa e della Nato ai danni della Russia. La Lega, allo stesso modo, era nettamente contraria all’abolizione dei dazi e agli aiuti all’Ucraina. Matteo Salvini è stato tra i primi a riconoscere non solo l’annessione illegittima alla Russia della Crimea, ma anche le due sedicenti repubbliche separatiste e di Donetsk e Lugansk (l’ha fatto ben otto anni prima di Putin!). Entrambi, Lega e M5s, all’epoca guidato dall’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio, si opponevano alle sanzioni alla Russia per l’annessione della Crimea e altrettanto strenuamente al Ttip e al Ceta: erano quindi favorevoli al libero scambio solo  con la Russia, ma contrari agli accordi commerciali dell’Unione europea con  Stati Uniti e  Canada.
 

Stesso atteggiamento con la Cina. L’Italia del governo Conte gialloverde è stato l’unico paese del G7 e l’unico tra i fondatori dell’Ue ad aver siglato con Xi Jinping il memorandum sulla  “Via della seta”. I ministri di quel governo, da Di Maio al leghista Centinaio, si esaltavano per un protocollo sull’export di arance in Cina come se si fosse trattato dei nuovi Trattati di Roma. I “sovranisti” hanno portato al governo personaggi sdraiati sulle posizioni di Pechino come Michele Geraci, sottosegretario al Mise in quota Lega, a cui venne affidata la “Task force Cina”, attraverso la quale si vagheggiava addirittura una sostituzione di Pechino al posto della Bce nell’acquisto dei titoli di stato italiani. Allo stesso modo questi sovranisti con il cappello in mano, all’apice dello scontro con Bruxelles, mentre minacciavano l’uscita dall’euro, sognavano un intervento di Mosca per stabilizzare lo spread e il debito pubblico. (“Putin: pronti a comprare Btp”, titolava in prima pagina il 25 ottobre del 2018 il Sole 24 Ore, in una specie di “Fate presto” filorusso).

 

Anche nel pieno della tragedia della pandemia il governo Conte, stavolta in versione rossogialla, ha trasformato l’Italia piegata dal Covid in un palcoscenico per la propaganda di Putin e Xi Jinping, tra mezzi militari russi che scorrazzavano per il paese e video tarocchi celebrativi degli “aiuti” cinesi.


Ora che c’è il governo Draghi e che il paese sembra tornato su un binario di normalità tutto è stato dimenticato, quasi rimosso, come si fa con le esperienze traumatiche. Ma i cittadini dovrebbero ricordarsene alle prossime elezioni, perché se gli eletti sono responsabili di quei folli programmi loro sono responsabili di averli votati.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali