il retroscena
Così Lega e M5s provano a sabotare l'intesa sull'invio di armi all'Ucraina
Il salviniano Candiani e il grillino Ferrara complicano fino all'ultimo l'accordo sulla risoluzione congiunta. La mediazione di Fassino, di sponda con Palazzo Chigi. Conte prova a fermare le diserzioni dei suoi senatori, ma Petrocelli guida l'ammutinamento. Letta rassicura Boldrini e Delrio: "E' un passaggio storico per l'avanzamento dell'Ue, non bellicismo". Domani Draghi alle Camere
Il clima era talmente surreale che a un certo punto Andrea Delmastro, con comprensibile gusto della provocazione, informava i suoi colleghi di Fratelli d’Italia che “qui siamo noi, che pure staremmo all’opposizione, gli unici a essere d’accordo col governo”. Non era esattamente così, a dire il vero. E però in effetti i primi due interventi della riunione, quelli del grillino Gianluca Ferrara e del leghista Stefano Candiani, avevano sorpreso in molti. Perché, mentre i responsabili dei vari partiti discutevano per definire il testo della risoluzione da approvare l’indomani in Aula, quando Mario Draghi sarebbe arrivato a riferire sulla scelta del governo di inviare sostegno militare agli assediati di Kyiv, sembrava quasi ricostituirsi quella strana corrispondenza di sensi – di sensi filoputiniani – di marca gialloverde.
La mediazione finale arriverà, poi, solo in serata, e solo al termine di una mediazione che è stata tribolata un po’ per tutti. E che però solo dalle parti di Lega e M5s ha riacceso antiche fiamme sovraniste, di quando Putin era l’esempio da esaltare, l’Ue il simulacro da abbattere. E allora ecco che di buon mattino, quando l’incontro tra le commissioni Esteri di Montecitorio e Palazzo Madama sta per cominciare, Stefano Candiani, senatore e pretoriano di Salvini, brucia sul tempo il suo stesso collega Paolo Formentini, leghista che le sbornie filorusse le ha sempre vissute con sottaciuto disagio. “Questo metodo non funziona”, dice Candiani. “Perché prima dovrebbe esprimersi il Parlamento, e poi il governo agire di conseguenza. Anche perché non mi pare ci sia alcuna urgenza”. Al che Enzo Amendola e Federico D’Incà, delegati del governo presenti al vertice, aggrottano la fronte: “Davvero non riscontriamo urgenze?”, si chiedono. Ma non fanno in tempo a rispondersi che arriva Gianluca Ferrara, senatore grillino da sempre ostile a quelli che lui chiama “i crimini occulti degli Usa” e che da giorni va ripetendo che “Enrico Letta è più realista del re Biden”, e aggiunge nuovi elementi di situazionismo. “Serve dialogo, dialogo, dialogo”, scandisce. “Una cosa sono i giubbotti antiproiettile, un’altra i missili. Ora serve prudenza, e un eventuale invio di armi rischierebbe di far precipitare gli eventi”. Come se non ci fosse già una guerra in corso. “Veramente tutti i paesi hanno già deliberato in tal senso”, gli fa notare la dem Lia Quartapelle. E allora tocca a Piero Fassino, alla guida della delegazione di Montecitorio, con paziente lavoro di persuasione, evitare sdruciture in un ordito parlamentare assai sfilacciato.
Perché Salvini, si sa, pur di non parlare di Putin s’è votato al pacifismo di maniera. E se la fronda filorussa resta ampia, iniziano a insorgere pure dall’altra parte della barricata. E così a un certo punto Luigi Di Maio s’è sentito perfino domandare da Guglielmo Picchi, uno yankee del Carroccio, se non fosse il caso di contattare il Cav.: “Chi meglio di Berlusconi, per indurre Putin alla ragionevolezza?”. Sennonché, sondando i vertici leghisti, dalla Farnesina si sono accorti che nessuno aveva benedetto l’operazione.
Ma anche il M5s registra defezioni e ammutinamenti. Una, clamorosa, è quella di Vito Petrocelli, presidente della commissione Esteri del Senato, che mette a verbale il suo dissenso: “Non voterò un provvedimento del genere”. E siccome Petrocelli (sostenuto peraltro dal deputato Luigi Gallo) non è l’unico – perché oltre a Ferrara, nella sola commissione Esteri, c’è anche Alberto Airola che critica la politica delle sanzioni, figurarsi quella delle armi, per risolvere un conflitto che, dice, “è causato dell’intransigenza e la radicalizzazione di posizioni da entrambe le parti”; e oltre ad Airola c’è poi un Danilo Toninelli in grande forma, che denuncia l’espansionismo a est della Nato e afferma che “l’Ucraina fa già parte dell’Ue” – siccome insomma la situazione è quella che è, Conte viene invitato dai suoi consiglieri a chiudere la falla prima che diventi una voragine, ed ecco che il leader grillino, dopo essersi confrontato telefonicamente col premier, ne benedice l’indirizzo.
Figurarsi se non lo fa Letta, che può perfino rivendicare d’averlo suggerito a tutti, quell’indirizzo. E però anche il segretario del Pd sa che deve misurare le parole, prevenire i malintesi. “Anche nei territori, spiegate la nostra linea – diceva già venerdì ai suoi parlamentari – che nessuno confonda il nostro rigore col bellicismo”. Che però, in effetti, è un rischio che Laura Boldrini gli indica, e insieme a lei anche Graziano Delrio e Susanna Cenni: il tutto, nel corso di una riunione di gruppo dei deputati a cui il segretario partecipa nel tardo pomeriggio, spendendosi in ulteriori chiarimenti: “E’ un passaggio storico, per l’Europa”.
E insomma a ora di cena si riparte dal via. I delegati dei vari partiti tornano a vedersi, quando sono già passate le otto della sera, per limare i dettagli, definire certi termini della risoluzione. A destra si insiste per le compensazioni alle imprese colpite dalle sanzioni; a sinistra si batte sui corridoi umanitari. Nella sostanza, ci si discosta ben poco dal solco tracciato in Cdm nel pomeriggio. Sì, si invieranno anche “apparati e strumenti militari” ai resistenti ucraini. La forma andrà capita. Perché, ancora a sera, Candiani s’impunta, Ferrara lo segue. “Per ogni invio di dispositivi servirà un voto specifico in Parlamento”. La guerriglia gialloverde usa le ultime pallottole. Fassino trova il compromesso: "Scriviamo allora che il governo terrà costantemente informate le Camere". E l'accordo, finalmente, pare prossimo.