Il caso
Da Parigi uno schiaffetto agli indignados per Djokovic, che a Roma (quasi sicuramente) ci sarà
Il campione serbo potrà partecipare al Roland Garros perché in Francia sarà già decaduto l'obbligo di green pass. Cos'ha da dire ora chi non lo voleva agli Internzionali d'Italia in quanto "cattivo maestro"?
Per tutti coloro che avevano esecrato la possibilità che Novak Djokovic partecipasse agli Internazionali d'Italia, queste non sono affatto ore felici. Avete presente il rischio "cattivo esempio" che avrebbe corso il nostro paese ospitando il tennista serbo, noto per non essere vaccinato al Covid-19? Da cui, secondo un'argomentazione piuttosto frangibile, sarebbe dovuto derivare un rispetto delle regole erga omnes che però prevedesse regole un po' più uguali per lui: di modo da farlo fuori dalla competizione per ragioni di esemplarità. Ecco, tutto questo sta per evaporare. E grazie alle notizie che provengono da Parigi.
Sul Foglio lo abbiamo già scritto: non c'è ragione per cui uno sportivo dovrebbe essere considerato un simbolo e per questo dare il buon esempio oltre la stretta osservanza del proprio professionismo. Uno fa il suo mestiere. E in questo caso si tratta di vincere almeno un game più dell'avversario all'interno di un campo rettangolare, viaggiare per il mondo con un calendario iper schedulato, magari non mettere in pericolo gli altri, seppur il tennis sia lo sport più individuale che c'è, non si corrono particolari rischi di contatto. Vive da almeno due anni di bolle, tamponi, protocolli più o meno stringenti. E uno può pur sempre, se lo desidera, fare la vita da no vax se non si vuole immunizzare come ha già fatto il 95 e passa per cento dei tennisti.
Djokovic nel suo lavoro è piuttosto apprezzabile, se si considera che adesso lo hanno detronizzato dal numero uno al mondo ma dopo un'infinità di settimane, e solo perché nel frattempo c'è stato l'affaire Australia. Non pago, l'aveva preannunciato, il serbo: qualora mi venisse fatto obbligo di essere vaccinato, non prenderò parte ad altri tornei importanti. Apriti cielo: se n'era chiesta la testa tramite sollevazione popolare, in un giudizio va da se imbastito sulle bacheche dei giudici cinguettanti su Twitter o che sia.
In Italia un sottosegretario allo sport come Valentina Vezzali aveva giustamente fatto notare che le regole da noi permettono la partecipazione di Djokovic agli Internazionali di Roma in programma a inizio maggio. Almeno stanti le disposizioni attualmente in vigore. Solo che tutta una schiera commentizio-politica s'era barricata dietro alla bandiera del: quale messaggio sarebbe per i cittadini? E quindi non solo l'omologo di Vezzali Andrea Costa, sottosegretario alla Salute, ma pure tutta una lunga lista di virologi non concepivano l'applicazione del green pass come sempre era stata fino ad allora. "Per me o si vaccina o farebbe bene a restarsene a casa", aveva detto in quei giorni il campione di Coppa Davis Adriano Panatta. Ma almeno le sue erano parole non istituzionali.
Tutto questo arrampicarsi sul declivio emotivo contingente, quel furore di abbattere un emblema allo stesso modo in cui si vorrebbero cancellate per sempre le scene di House of Cards recitate da Kevin Spacey, assume ancor più significato adesso che, come annunciato ieri dal governo francese, probabilmente Djokovic potrà prendere parte sia al Roland Garros che al Master 1000 di Montecarlo. La ragione? L'obbligo di green pass in Francia scadrà il 14 marzo. E quindi il serbo con ogni probabilità non verrà trattenuto all'aeroporto di Parigi in una riedizione della disavventura australiana. In Italia questo sarebbe stato possibile da sempre. Ma forse era meglio dire che non lo si voleva tra i piedi così da essere smentiti dal tempo che banalmente fa il suo corso.