Dal catasto al Mes. Ora Draghi stana Forza Italia: il Cav. tra il premier e Salvini
E a Palazzo Chigi arrivano i delegati di Berlusconi durante i colloqui tra i collaboratori del premier e l'ambasciatore ucraino
Quello sulla delega fiscale è stato anche un esperimento: davanti alla strettoita, FI può sganciarsi dal Carroccio? I malumori azzurri, lo sfogo di Brunetta e lo sfregio dei deputati azzurri ai proprio ministri. E all'orizzonte ci sono i balneari e gli appalti, oltre all'ombra di Putin: perché la doppiezza di Berlusconi e del suo cerchio magico non è più sostenibile
Mentre tutti attendevano Godot, due giorni fa il dem Francesco Boccia provava a spiegare il senso dello stallo: “Siamo in attesa di capire come si risolva la crisi d’identità permanente di Forza Italia: stanno con Draghi o con la Meloni?”. Si cercava di sciogliere il rebus sul catasto, e in un corridoio di Montecitorio Federico Freni aggrottava la fronte: “A Palazzo Chigi, per trattare, c’è solo la delegazione di FI? Più che un invito a mediare – mugugnava il sottosegretario leghista all’Economia – quello è un richiamo all’ordine”. Separare gli azzurri dal Carroccio, dunque? In effetti era tutto meno razionale, di così. Al punto che quando il Cav. (o chi per lui), dopo un confronto con Draghi, ha mandato i suoi Paolo Barelli e Alessandro Cattaneo a discutere con Antonio Funiciello, il capo di gabinetto del premier era a colloquio con l’ambasciatore ucraino.
E però sarebbe un po’ da ingenui pensare che davvero lo gnommero stesse tutto in quell’inciso – “aggiornare i parametri catastali ai valori immobiliari di mercato” – che Draghi riteneva indispensabile e che FI voleva eliminare. “Anche perché – sussurrava intanto il leghista Massimo Bitonci a Montecitorio, dove intanto si attendeva di conoscere l’esito del confronto – quand’anche il premier trovasse un accordo con loro, noi del Carroccio comunque voteremmo contro”.
E insomma, al netto degli accanimenti esasperati sui commi e sugli emendamenti (a proposito: la settimana prossima ci sarà una replica, in commissione Finanze, sullo stesso famigerato articolo 6, quello del catasto), quello di mercoledì è stato, chissà quanto studiato, un esperimento: volto a capire, cioè, se davanti alla strettoia, FI possa sganciarsi da Salvini. L’esito è stato negativo, a conti fatti, ma non del tutto. Perché comunque l’operazione è valsa a mettere in luce, esasperandole, le contraddizioni azzurre. E non solo perché il gruppo parlamentare ha smentito in modo clamoroso i suoi tre ministri, che a ottobre avevano approvato in Cdm la delega fiscale. E non solo perché Antonio Tajani, che quel voto lo aveva salutato come “una nostra vittoria”, dicendo pubblicamente che “non ci sarà alcun aumento delle tasse sulla casa fino al 2026”, ha poi assecondato le manovre di chi, dentro FI, ripeteva gli slogan leghisti sul rischio della patrimoniale. Ma anche perché Renato Brunetta, ministro azzurro, ha di fatto disconosciuto la scelta dei suoi deputati. “Si è trattato di un voto giustificato da pulsioni identitarie, anche comprensibili, all’interno del centrodestra, voto che nulla ha a che fare, però, con la responsabilità e il dovere del governo di andare avanti e di rendere compiuto il percorso delle riforme”, spiega ora il titolare della Pa. E tuttavia, quando Brunetta ha condiviso il suo sfogo nella chat azzurra, giovedì sera, a commento sono arrivate decine di “Bravo Ugo”, “Siamo tutti con te, Ugo”, a plaudire un’iniziativa di Ugo Cappellacci che si impegnava a portare in Sardegna gli orfani ucraini. Segnale, insomma, di uno scollamento evidente tra la delegazione ministeriale e i gruppi parlamentari di Forza: con Brunetta, Carfagna e Gelmini sentinelle fedeli dell’agenda Draghi, e le truppe di Camera e Senato sempre più relegate al ruolo di riservisti salviniani.
Certo, vanno accolte anche le precisazioni dei diretti interessati. Perché se è vero che anche un dichiarato “tifoso di Draghi” come il moderato Cattaneo finisce col condividere il verbo dell’intransigenza anti tasse, vuol dire forse che davvero il tema del catasto è “un tabù per noi”, come confessa Renata Polverini. Che rivela: “Di solito da noi c’è massima flessibilità di voto, ma per la conta sull’emendamento contro l’articolo, giovedì, hanno addirittura predisposto un sistema di sotituzioni blindate”. Magari per disinnescare sul nascere le proteste di chi, come Claudia Porchietto, avrebbe evitato di accodarsi ai leghisti. “Ma con l’abolizione dell’Imu ci abbiamo vinto le elezioni all’ultima curva”, sussurra Carlo Giacometto, altro forzista non tacciabile di simpatie salviniane.
Ma se così è, se davvero l’affiliazione al Carroccio è solo contingente, i nuovi esperimenti dovrebbero dare risultati diversi, già a partire dalle prossime scadenze. Che sono la ratifica del Mes, e poi il voto sul ddl Concorrenza. E certo, il fatto che al Senato il più arcigno oppositore del ministro Giovannini sulla legge degli Appalti sia il forzista Massimo Mallegni, e il fatto che sui balneari Maurizio Gasparri sia più irriducibile di un qualsiasi leghista (“Se lo sogna Draghi che noi lasciamo il provvedimento così come lo ha licenziato il governo”), non sembrano preludere a grandi rivolgimenti nel centrodestra. E però, dove non arrivasse l’agenda interna, potrebbe pensarci la politica internazionale. Perché la vicenda russa, che ora inevitabilmente appiattisce le posizioni nella condanna unanime (o quasi) delle atrocità di Putin, col tempo produrrà nuove scosse, nuovi riposizionamenti, nuove ambiguità: “E invece l’atlantismo e l’europeismo del governo dovranno uscire ancor più rafforzate, da questa crisi”, ripete Draghi in queste ore. Dichiarazione banale, ma non del tutto.
La prossima Commissione