un pomeriggio in piazza
La Cgil surreale come Black Mirror. Quella per la pace è una manifestazione filologica
Poca Ucraina e molte bandiere della Palestina, di Che Guevara, della Sardegna. A Mosca chi protesta va in galera, noi sfoderiamo drappi del Pci e sfidiamo l’Ambasciata russa a retwittarci
Ci sono le manifestazioni oceaniche di Praga e Tbilisi. Zelensky sul maxischermo come una rockstar, le piazze ricolme, i simboli dell’Unione Europea. Ci sono i raduni di Bruxelles e New York, e slogan e cartelli contro l'invasione russa. Ci sono le bandiere ucraine nei sit in a Dahka, a Islamabad, a Bangkok. Ci sono i manifestanti russi arrestati a Mosca e San Pietroburgo, e c’è la manifestazione pro-Putin a Belgrado. E poi c’è un universo a parte, come in una puntata di “Black Mirror”: il pianeta Cgil. Né con Putin, né con la Nato, tutti a Roma, a piazza San Giovanni, con le bandiere rosse.
Arriviamo alle 14.30. Piazza gremita ma non troppo. Cerchiamo con lo sguardo qualcosa di ucraino, un vessillo, un gagliardetto, una cartolina di Kyiv. Macché. Niente. In lontananza, nella marea di drappi sindacali e falci e martello e bandiere della Palestina, della Pace, di Che Guevara, della Sardegna (un oligarca?), spunta uno sparuto fazzoletto azzurro e giallo. Viene fuori una coreografia impeccabile. Una metafora visiva della situazione. L'assedio di Kyev. È una manifestazione filologica.
A Mosca chi protesta va in galera, noi sfoderiamo le bandiere del Pci e sfidiamo l’Ambasciata russa a retwittarci, come “Il Fatto”. Molti cartelli “contro la Nato”, contro “la guerra”, contro “le armi”. Niente sulla Russia (banale). Non siamo didascalici. Se c'è l'America va bene, ma qui va in crash il sistema, si inceppa il format, l’algoritmo italiano si blocca. Meglio prendersela con la guerra e basta. Siamo “neutrali ma attivi”, la variante geopolitica del “dimagrire dormendo”. La situazione è drammatica, tragica, intensamente sofferta da tutti. A gruppetti sul pratone, avvolti nel drappo della pace, i manifestanti parlano fitto di scatti stipendiali e congedi: “Ma tu l’hai maturati i requisiti?” “ma io sto in aspettativa”. Parte un’arringa sulla pace, poi un affondo sulla brutalità di tutte le guerre della storia, dagli Assiri a Putin. Poi un appello: “disarmo climatico subito!”. Pensavamo il problema fossero le bombe, ma è la guerra che distrae dal global warming. Poi a cascata un fiume torrenziale di rivendicazioni a braccio: la Siria, la Palestina, l’Iraq, la disoccupazione, quota 100, il femminicidio, tutte le discriminazioni di genere (“le vere vittime della guerra sono le donne”).
Quindi di chi è la colpa della guerra? Non si capisce. Pensavamo di saperlo, dopo un’ora di Cgil non lo saprebbe più nemmeno Putin. Siamo qui contro tutte le guerre, come le mafie. Solo al plurale. Casomai è questo “sistema economico che qualche responsabilità ce l’ha”, dicono dal palco. Sembra fuori-tema, invece no, perché “la guerra si regge sulle economie dell’inquinamento”. Alla fine torniamo a casa convinti. Ha ragione l’Anpi. Più flash-mob meno aiuti militari. Invece di inviare armi in Ucraina, aiutiamoli a fare la differenziata.