l'intervista
Urbani: "Martino era l'essenza del liberismo. Che anni quelli con Berlusconi al governo"
L'ex ministro forzista racconta il compagno di partito scomparso oggi a 79 anni: "Eravamo amici da sempre. Quando il Cav. ci disse di voler fare l'università liberale con Putin in cattedra inorridimmo"
"Naturalmente la sorpresa è forte. Provo grande dolore per la perdita di un amico con cui ho passato di tutto". Giuliano Urbani apprende dalla nostra telefonata della morte a 79 anni di Antonio Martino. Ex ministro e dirigente di Forza Italia con cui ha condiviso non solo anni di carriera politica, ma pure una conoscenza di lunghissima data. "Uuh, che brutta notizia. Sapevo che ultimamente stava male, ma come stiamo male un po' tutti", risponde colui che ha ricoperto gli incarichi di ministro della Funzione pubblica e della Cultura nei governi di Silvio Berlusconi. Da quanto vi conoscevate? "Da sempre, perché eravamo amici di famiglia. Conoscevo bene anche suo padre Gaetano, uomo di grandissima cultura. Proveniamo entrambi dall'esperienza della gioventù liberale. Il nostro rapporto veniva da lontano ed era molto forte. Sebbene fossimo molto diversi e bisticciassimo spesso". E qui Urbani racconta come lui e l'ex titolare della Farnesina sposassero interpretazioni diverse del pensiero liberale. "Stiamo stati allevati entrambi dalla scuola Malagodi, ma ci siemo sempre seduti su due sponde diverse del liberalismo: lui quello economico, io quello sociale".
Una biforcazione che si è ricongiunta in maniera virtuosa quando, nel 1994, Berlusconi decise di scendere in campo e li chiamò entrambi, Martino e Urbani, a stilare il programma e a costruire pezzo pezzo Forza Italia. "Alle linee economiche Antonio lavorò con entusiamo, seguendo le teorie di Milton Friedman. Per noi che eravamo liberali di estrazione accademica confrontarci con chi veniva dal mondo dell'impresa, della pubblicità, all'inizio non fu semplice ma stimolante. E così entrare a far parte di un'esperienza di governo con sensibilità molto diverse". Il rapporto con Berlusconi? "Sia io che Antonio sapevamo delle interpretazioni poco ortodosse del pensiero liberale del presidente. Avevamo con lui una simpatica vicinanza - lontananza. Quando ad esempio ci disse di voler fondare un'università del pensiero liberale e di voler invitare Vladimir Putin in cattedra inorridimmo e glielo dicemmo: cos'ha Putin di liberale? Niente. Ecco, quello fu un errore marchiano, un'ingenuità che non abbiamo mai condiviso".
E però questo clash culturale tra professori e uomini di impresa, come racconta Urbani, "ci unì moltissimo. Ricordo ancora la prima manifestazione pubblica di Forza Italia, all'Eur. Ne uscimmo bagnatissimi ma unitissimi". Ci vuole raccontare un aneddoto del vostro rapporto? "Ne dico uno buffo. Quando eravamo giovani partecipammo a un simposio della School of freedom. Allora il segretario dell'internazionale liberale giovanile era un danese e andammo nella sua casa di campagna. Finito l'incontro io e Antonio ci trovammo a uscire nello stesso momento. Quando tutti se ne furono andati dalla stanza feci per spegnere tutte le luci. 'Perché lo fai, mica è casa tua', mi disse. Ecco, fu una sintesi del suo pensiero utilitaristico e della mia tendenza già allora a una sensibilità ecologista ante litteram. Un simbolo della nostra amicizia nella diversità".