Le impossibili equidistanze

Caso Petrocelli. Il pasticciaccio del presidente di commissione Esteri filo-russo (oggi si decide)

Marianna Rizzini

Il senatore M5s ha votato no alla risoluzione sulla guerra in Ucraina e nonostante l'ambigua posizione e le richieste del Parlamento, non si è dimesso, Toccherà all'ufficio di presidenza affrontare il suo caso. L'ipotesi di un boicottaggio bipartisan contro il grillino

Da presidente della Commissione Esteri del Senato, Vito Petrocelli, senatore a Cinque Stelle, ha votato “no” alla risoluzione del governo sulla guerra in Ucraina, in difformità rispetto alla indicazioni del partito (dove pure fiorivano altri sotterranei distinguo). Non è certo una posizione inaspettata, la sua. Ma il punto è: che fare, in un momento in cui le equidistanze svelano tutta la loro natura ambigua davanti alle immagini che giungono dal fronte? Oggi intanto l’Ufficio di presidenza della commissione dovrà affrontare il caso, visto che il senatore Petrocelli non si è finora dimesso dal ruolo apicale e visto che i regolamenti parlamentari non permettono di sfiduciarlo.

 

“Sicuramente come pre-requisito chiederemo la disponibilità a sospendere il protocollo che prevede la cooperazione parlamentare tra la stessa commissione Esteri italiana e il comitato per gli Affari esteri della federazione russa”, dice Alessandro Alfieri, capogruppo pd nell’organismo in questione. Il protocollo è infatti tuttora in vigore, e prevede cooperazione anche sulla sicurezza e rispetto al quadro internazionale. Nei giorni precedenti, intanto, il vicepresidente della Commissione, Laura Garavini (Italia Viva), aveva sottolineato “l’opportunità” di arrivare alle dimissioni di Petrocelli, “in una fase delicata in cui si richiede compattezza a sostegno dell’operato del governo”.

 

E dalla Lega – partito che, come i Cinque stelle, sulla posizione pregressa rispetto a Vladimir Putin (e alla Cina) ha qualche problema di gestione (e di nuovo: di equidistanze) – era giunta l’esortazione del segretario della commissione Esteri Stefano Lucidi: visto che la politica estera è “in mano al governo”, aveva detto Lucidi, “la maggioranza parlamentare e la presidenza della Commissione devono essere allineati con l’esecutivo”. Ci si attende dunque oggi, dice Alfieri, “una valutazione e una discussione vera su un argomento serio, anche perché un conto è una libera opinione espressa da un senatore, ma se si è presidenti di Commissione è necessario sottolineare senza ambiguità l’allineamento con la posizione euro-atlantica. E la situazione è così grave che va respinta con nettezza anche la posizione di equidistanza ‘né con la Nato né con Putin’”.

 

Non convince Alfieri, dunque, neanche l’idea sostenuta nella piazza Cgil (che chiede all’Onu una politica di “disarmo e neutralità attiva”): “Ci si può appellare alle Nazioni Unite, ma si sa che ci sarebbe il veto della Russia in seno al Consiglio di Sicurezza”, dice Alfieri, “anche se la risoluzione di condanna da parte dell’Assemblea Onu c’è stata”. Nei giorni scorsi l’Ucraina aveva chiesto apertamente l’espulsione della Russia dal Consiglio di Sicurezza, ma la possibilità non è contemplata dalla carta della Nazioni Unite. Fatto sta che intanto il Parlamento italiano si trova davanti il caso simbolico di Petrocelli, colui che voleva apparire persona che non deve “ribadire” la fede filo-atlantica e al tempo stesso persona che sperava l’Italia si trasformasse in un punto di “riferimento” per Mosca, Pechino e Teheran.

 

E se alcuni dei suoi colleghi (vedi la vicepresidente a Cinque Stelle del Senato Paola Taverna) hanno invocato per Petrocelli la pausa di riflessione “sul suo voto”, come ha detto Taverna intervistata da Francesca Fagnani a “Belve”, su Rai2, l’ex premier e vertice del M5s Giuseppe Conte si è fatto inizialmente equilibrista, sottolineando che “tra Camera e Senato” c’è stato solo un voto contrario del Movimento, cosa che, ha detto Conte, “guardando ai numeri dei parlamentari”, conferma a suo avviso “la maggiore compattezza in termini proporzionali del M5s rispetto agli altri gruppi”. Fatto sta che in Senato ci si prepara, in caso non si raggiunga una soluzione, al boicottaggio bipartisan della Commissione.
 


 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.