Salvini e Grimoldi. I viaggi paralleli, tra figuracce e cene raffinate, dei leghisti sul fronte ucraino
Non solo Matteo. Anche un altro esponente del Carroccio è andato in missione a est. E a differenza del segretario, il deputato lombardo è riuscito ad arrivare sulla frontiera ucraina. Facendo anche in tempo a disorientare la nostra ambascaiata a Varsavia. La versione del leghista: "La prima a non aver rispettato i trattati è stata Kyiv, e gli stati ex sovietici riconoscono le ragioni di Putin".
Un leghista che ce l’ha fatta c’è. Quella frontiera ambita e terribile, sull’orlo della guerra, quella che Matteo Salvini ha invano cercato di raggiungere, ecco, quel lembo estremo d’Europa c’è chi l’ha raggiunto. Paolo Grimoldi c’è riuscito a “mettere il piede sul suolo ucraino”: la foto dal confine lui può ora esibirla. Testimonianza, pure questa, del caos nel Carroccio. E così, mentre Mario Draghi dice che le sanzioni alla Russia “dureranno anni”, Gian Marco Centinaio già si auspica che “vengano tolte presto”.
E dire che il viaggio l’avevano iniziato insieme, sia pure ignari l’uno dell’altro. Stesso aeroporto, quello di Malpensa. Stesso volo, per Varsavia. E i due dirigenti del Carroccio a guardarsi di sottecchi. Non si amano, del resto. Perché Grimoldi a Salvini rinfaccia la colpa d’averlo poco valorizzato, e poi di averlo sostituito da segretario della Lega lombarda; il grande capo, invece, del soldato recalcitrante alla disciplina di partito ha imparato a diffidare, sa che spesso è tra quanti alimentano i malumori interni.
E però, per paradossale che paia, finisce che l’unico dei due che conquisterà la meta ucraina non è il leader, ma l’altro. Anche perché il leader, che è stato per inciso ministro dell’Interno, per la sua trasferta a est, s’è affidato a una prima associazione umanitaria – la Manalive – guidata da quel Gianmarco Oddo che è stato dapprima candidato nelle liste dell’estrema destra romana, poi collaboratore dell’europarlamentare Antonio Rinaldi, No Euro incallito; quindi, arrivato in Polonia, per provare a raggiungere l’Ucraina ha chiesto assistenza alla onlus di Francesca Immacolata Chaouqui, la lobbista del caso Vatileaks. E invece l’altro, il peone, s’è affidato al più bizantino degli apparati parlamentari, seguendo insomma la corretta trafila istituzionale: e, da responsabile della delegazione Osce, l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, è partito alla volta di Varsavia insieme al senatore di Forza Italia Massimo Mallegni e al deputato grillino Niccolò Invidia.
E mentre Salvini doveva dapprima subirsi le raccomandazioni dei funzionari della Farnesina e dell’Aise, il servizio segreto estero, che sbuffavano per l’inopportunità di quella sua trasferta così improvvisata che infatti si risolveva nello sberleffo di un ignoto sindaco d’estrema destra che gli sventolava sul grugno il suo passato da osannatore di Putin, la missione di Grimoldi procedeva senza intoppi e senza complicazioni. E anzi, si concludeva addirittura con una sontuosa cena in un ristorante raffinato del centro di Varsavia – il Restauracja Dom – dove uno chef tutto imbellettato con tanto di tocco e grembiule, preparava una tartare espressa per il prestigioso ospite italiano. Semmai l’unico imbarazzo s’era registrato poche ore prima, davanti all’ambasciata italiana, quando i diplomatici erano rimasti un poco sorpresi nel constatare che sì, era leghista quel Salvini che, insieme agli onorevoli Campomenosi e Toccalini, pure loro con la spilla dell’Alberto da Giussano sul bavero della giacca, da ore s’intratteneva con l’ambasciatore Aldo Amati, ma era leghista pure il capo di quella sparuta delegazione Osce, composta di tre parlamentari, che ora veniva a bussare, a chiedere udienza, a raccogliere informazioni. Evidentemente no, non c’era stata una grande coordinazione di partito.
E infatti di lì a qualche ora le strade dei due lumbàrd si sarebbero di nuovo divise. Salvini verso l’umiliazione di Przemysl, addolcita appena dalla cena che il direttivo della Lega Polonia, guidata da Renato Passoni, gli avrebbe poi offerto per festeggiare il suo quarantanovesimo compleanno; Grimoldi verso la piccola gloria del traguardo, il viaggio in macchina fino alla frontiera di Medyka, sulla strada che porta a Leopoli. E lì, dunque, la contemplazione del dramma dei rifugiati, i tendoni destinati all’accoglienza, migliaia di profughi col terrore negli occhi.
Prima, però, presso l’ambasciata ucraina a Varsavia, l’incontro diplomaticamente più decisivo: quello tra Grimoldi e il suo omologo ucraino, il responsabile Osce per il Parlamento di Kyiv, Mykyta Poturayev. E chissà se anche a lui il deputato leghista ha ribadito quel che da giorni ripete agli attivisti del Carroccio: e cioè che “i primi a non aver mai rispettato gli accordi di Minsk sono stati i governi ucraini, e questo ha portato a innescare le tensioni”. E chissà se anche col collega ucraino, che ha ancora i famigliari intrappolati a Kyiv, Grimoldi ha chiesto conto di quella stranezza che “i media occidentali non riportano”, e cioè il fatto che “tutti i paesi dell’ex blocco sovietico dicono di comprendere le ragioni di Putin. Come mai?”. Eh già. Come mai?