Italiani al fronte. L'escalation di Putin vista dai nostri soldati
Quattrocento militari delle nostre forze speciali operative al confine tra Polonia e Ucraina. E poi c'è l'allerta sul pattugliamento aereo sulla frontiera rumena, col pericolo del fuoco amico. Responsabilità e rischi della nostra Difesa, che intanto preallerta 3.700 uomini, pronti a intervenire in tre diversi tronconi in caso di precipitare degli eventi
La campana è suonata per tutti. Perché l’attacco a Yavoriv da parte di Vladimir Putin ha un significato preciso: sappiamo quello che state facendo. A Mosca sanno, cioè, che è da lì, da quella base dove ufficiali di Kyiv e contractor stranieri addestrano truppe volontarie ostili alla Russia, quella base che sta a metà strada tra Leopoli, la città più a ovest dell’Ucraina, e Rzeszòw, avamposto orientale d’Europa in terra polacca, che passa gran parte delle armi diretto a rifornire l’esercito di Zelensky. Ed è per questo che l’allarme è riecheggiato fino ai più alti vertici della Nato, e di lì anche a Roma.
Perché intorno allo scalo di Rzeszów-Jasionka, alla periferia nord di questa città di 200 mila abitanti nel sud della Polonia, gravita anche un sostanzioso contingente italiano: e i 27 voli militari registrati tra l’1 e il 13 marzo da Pratica di Mare, Grosseto e Pisa verso quella destinazione stanno lì a dimostrarlo. Sono circa 400, le forze speciali italiane presenti in zona: Col Moschin, incursori dell’aeronautica, Comsubin della Marina. E del resto sono proprio i reparti d’élite dell’Alleanza che sovrintendono alle operazioni logistiche necessarie per predisporre i convogli di aiuti militari e accompagnarli dall’aeroporto polacco – non a caso protetto da due batterie di missili antiaerei Patriot, portate lì a inizio marzo dalla Germania su volere del Pentagono – fino alla frontiera ucraina. Poi, quel che succede oltre il confine, è roba che non si dice.
Di certo c’è che l’alibi dei contractor sembra non reggere più, dopo l’escalation di due giorni fa. Perché è vero che a Yavoriv, a restare feriti, sono stati dei soldati olandesi affiliati alla milizia straniera, ma il rischio che dei morti occidentali, benché non appartenenti a eserciti regolari, possano innescare il precipitare degli eventi, è troppo alto. E per questo i comandi Nato hanno chiesto agli ucraini di frenare il reclutamento di mercenari, dopo che pure intorno a Kyiv sono apparsi drappelli di georgiani e canadesi.
E l’allerta vale anche nei cieli. E infatti ai piloti italiani coinvolti nel pattugliamento aereo dei confini tra la Romania e l’Ucraina è stata suggerita la massima prudenza. Non solo perché il perdurare delle difficoltà sul fronte sud delle forze russe – con decine di casi di clamorose richieste di congedo tra i soldati in prima fila – potrebbe indurre i russi a fare maggiore ricorso all’aviazione proprio a ridosso dello spazio aereo controllato dagli Eurofighter che decollano dalla base di Costanza. Ma anche perché, nell’isteria di un conflitto così cruento, non si può escludere – come riferiscono fonti Nato – neppure il paradosso del fuoco amico, cioè di contraeree ucraine fuori controllo che bersagliano aerei occidentali. Non è passato inosservato, ad esempio, il caos generatosi giorni fa a seguito di una notizia trapelata da fonti ucraine, e poi rivelatasi infondata a una verifica svolta dai comandi alleati: quella, cioè, secondo cui i russi avrebbero bombardato in territorio bielorusso per addossare la responsabilità a Kyiv e giustificare l’invasione da parte di Lukashenka.
E’ la logica, terribile, della guerra. Con la tensione al massimo, l’inciampo che conduce gli accidenti oltre il punto di non ritorno può essere anche fortuito: come un drone russo che, fuori controllo, finisce con l’abbattersi alla periferia di Zagabria, cioè in un paese Nato. Anche per questo la Difesa italiana ha innalzato a 3.700 il numero di militari allertati, dalla Sicilia al Friuli, pronti a partire in tre diversi task group in caso di necessità.