Battaglie oltre Putin
Oltre la guerra c'è di più. Da Mps a Tim, fino a Ita. Draghi ha un altro guaio con il pantano
Decidere di non agire, e perdere tempo, significa rischiare di fallire: ecco quali sono (Intel a parte) i quattro terreni di gioco sui quali si misurerà la capacità del governo di guardare con ambizione al futuro
Un conto sono i problemi esogeni, un altro sono quelli endogeni. Un conto sono i problemi da governare per responsabilità esterne, un altro sono i problemi da governare per responsabilità interne. Un conto sono i riflessi negativi generati sulla nostra economia dalla guerra di Putin, con il conseguente riflesso determinato dalla battaglia sulle sanzioni, un altro conto sono i riflessi negativi generati sulla nostra economia da alcune battaglie che c’entrano poco con la direzione di marcia imboccata dall’esercito di Putin e c’entrano molto invece con la direzione di marcia imboccata dal governo Draghi. E su questo secondo fronte, sul fronte delle battaglie economiche interne, ci sono almeno quattro terreni di gioco sui quali si misurerà la capacità del governo di guardare con ambizione al futuro.
Il primo terreno coincide con una notizia importante annunciata ieri pomeriggio da Intel, multinazionale americana specializzata nella produzione di dispositivi a semiconduttore, microprocessori, componentistica di rete, che all’interno di un maxi investimento da 80 miliardi di euro previsto in Europa nei prossimi dieci anni ha scelto di destinare parte di questa somma a un investimento anche in Italia, per la produzione della fase “di back-end del processo di fabbricazione dei chip”. La somma stanziata da Intel, per l’Italia, è pari a 4,5 miliardi, una somma analoga arriverà in Italia attraverso sussidi stanziati dalla Commissione europea nell’ambito del cosiddetto “European Chips Act” e secondo fonti del governo l’indotto totale generato dall’investimento di Intel si aggira attorno al punto di pil (18 miliardi di euro).
Accanto alle buone notizie, buone notizie che in questo caso sono sia per l’Italia (capacità di attrarre investimenti) sia per l’Europa (volontà di lavorare a una propria autonomia tecnologica oltre che energetica) anche se Palazzo Chigi sperava in un investimento più consistente di Intel in Italia, vi sono però notizie meno incoraggianti che riguardano un vizio che neppure il tocco di Draghi sembra essere riuscito a dominare: l’applicazione della strategia del pantano per la risoluzione di alcuni storici tabù industriali italiani.
Il primo grave pantano che Draghi non è riuscito a governare riguarda il “no” che il presidente del Consiglio si è ritrovato ad affrontare su Mps: tre mesi di interminabili trattative con Unicredit, tirate per le lunghe probabilmente anche per non interferire con le suppletive di Siena, che hanno fatto segnare il primo insuccesso ottenuto dal governo: nessun accordo per la vendita su Mps. Il secondo grave pantano che Draghi finora non è riuscito a governare riguarda il dossier Tim. A novembre, un’azienda disastrata, che ha appena ereditato dal ceo precedente la bellezza di 8,7 miliardi di euro di perdite, si è ritrovata miracolosamente di fronte un’offerta pubblica di acquisto (di Kkr) pari a 0,505 euro per azione, superiore allo 0,33 delle quotazioni di allora. Cinque mesi dopo – cinque mesi dopo una serie di ostruzionismi costanti azionati sia lato Mef sia lato Cdp, che di Tim è azionista, per sabotare l’Opa di Kkr e convincere Kkr a impegnarsi con Cdp e Vivendi nell’operazione rete unica – la partita di Tim è ancora aperta, incerta, confusa, e alla fine dei conti il punto è sempre lo stesso: due aziende a sostanziale controllo pubblico, Open Fiber e Tim, intendono fare la stessa cosa (la rete in fibra nazionale) ma non riescono a spiegare ad azionisti, clienti, fornitori le modalità, i tempi, i costi dell’operazione. Pantano in Mps. Pantano in Tim. E pantano anche nell’ex Alitalia: Ita. E qui il quadro, se possibile, appare ancora più allarmante.
A fine gennaio, arriva per Ita un’offerta di acquisto per la maggioranza del capitale pari a 1,3 miliardi di euro. L’offerta arriva da Lufthansa e Msc. Si prende tempo. Passano i giorni e la trattativa diretta di Ita con Msc-Lufthansa viene affiancata da una trattativa pubblica, per verificare l’esistenza o meno di altre offerte. Siamo al 1° febbraio: si prende tempo. Con l’apertura della trattativa pubblica, al Mef spetta il compito di selezionare gli advisor giusti a cui affidare la gestione del dossier relativo alle offerte. Sono passati 45 giorni e, complice il compenso offerto dal Mef (130 mila euro) ritenuto basso da tutti gli advisor selezionati, l’advisor non arriva, non si trova, non spunta. Si prende tempo. Passano i giorni e accanto all’offerta principale ne arrivano delle altre. Ne arriva una di Delta Airlines e Air France (molto sponsorizzata dal Pd e da un pezzo del cda di Ita). Ne arriva una del fondo Certares (ben vista anche dall’ad di Ita, Fabio Lazzerini, che in passato ha lavorato insieme con il capo del fondo: Greg O’Hara). Le offerte arrivano ma gli advisor non si vedono e le scelte vengono rimandate. Di nuovo pantano. Con un dettaglio poco conosciuto ma importante relativo a una clausola contenuta nell’offerta presentata a gennaio da Msc-Lufthansa a Ita, che tutti i membri del cda di Ita dovrebbero conoscere.
Il dettaglio è questo. Lo scorso anno, la Commissione ha autorizzato il governo italiano a sostenere Ita Airways con tre tranche di aiuti di stato pari a un valore complessivo di 1,35 miliardi di euro. La prima tranche, già erogata, è stata versata a Ita nell’ottobre del 2021: 700 milioni di euro. La seconda tranche, pari a 400 milioni di euro, è stata autorizzata per fine marzo del 2022 (con una deroga possibile per la fine di aprile). La terza tranche, pari a 250 milioni di euro, è stata autorizzata per il 2023. Msc e Lufthansa, nella trattativa privata con Ita, avevano promesso, in caso di finalizzazione dell’operazione, un premio relativo alla prima equity injection del governo, cioè i 700 milioni dati all’inizio dell’operatività il 15 ottobre 2021, pari al 30 per cento. In più, avevano promesso di versare loro, al posto del governo, la seconda tranche da 400 milioni di euro. Il governo ha scelto di prendere tempo. E il risultato è che il governo piuttosto che affrettarsi a vendere Ita risparmiando 400 milioni di euro ha scelto di rallentare la vendita rischiando di perdere, oltre ai 400 milioni di euro, quello che un paese desideroso di generare fiducia non può permettersi di perdere: perdere non solo i soldi ma anche la faccia. “Anche il non agire rappresenta una decisione. E quando l’inazione compromette il mandato affidato al policy maker dei legislatori, decidere di non agire significa fallire”. Le parole tra virgolette, pronunciate da Mario Draghi l’11 ottobre 2019 nel suo discorso al conferimento della laurea honoris causa all’Università del Sacro Cuore di Milano, possono aiutare a capire bene cosa c’è in ballo oggi per l’Italia in tre partite cruciali come Tim, Mps e Ita. Decidere di non agire, e perdere tempo, significa rischiare di fallire. Il pantano anche no, grazie.