Bersani e i paragoni storici azzardati su Metternich e Putin
Perché ripescare il Congresso di Vienna e la Restaurazione per spiegare le colpe dell'Occidente all'origine dell'invasione russa dell'Ucraina ha poco senso
La guerra in Ucraina sta producendo uno strano fenomeno, di riscrittura della storia per spiegare dove l’Occidente ha sbagliato con la Russia. E quindi per comprendere, se non giustificare, la reazione impetuosa di Vladimir Putin. La narrazione più diffusa, da anni propagandata dal Cremlino e ora ripetuta anche da noi, è quella di una presunta promessa, poi tradita, degli Stati Uniti alla Russia (o all’Urss) di non espansione della Nato a est. Una promessa che però non è mai stata tradita perché non è mai esistita.
Ma questo tentativo di ricerca delle responsabilità occidentali sta portando a ricostruzioni storiche surreali, se non fumettistiche. Pier Luigi Bersani, ad esempio, rievoca l’equilibrio di Metternich e i bei tempi andati della Restaurazione: “Quando Gorbaciov accettò la sconfitta non abbiamo fatto come il principe Metternich che, dopo 20 anni di guerre napoleoniche, chiamò la Francia sconfitta al Congresso di Vienna per discutere i nuovi equilibri”, ha dichiarato a “Di Martedì”. Qualche giorno prima aveva espresso lo stesso concetto intervistato da Repubblica: “Tengo sempre a mente la lezione di Metternich nel 1814 – ha detto Bersani –. Dopo aver sconfitto Napoleone pretese che anche la Francia sedesse al tavolo del congresso di Vienna, per decidere insieme i nuovi equilibri. Dopo l’89 non è andata così”.
Si tratta di una ricostruzione caricaturale, sia di quanto accaduto nell’Ottocento sia quanto è accaduto dopo il crollo del Muro di Berlino. Innanzitutto è superficiale dire che le potenze vincitrici chiamarono “la Francia sconfitta” a discutere i nuovi assetti, perché l’alleanza anti-napoleonica impose alla Francia di restaurare la monarchia e ai Borbone di concedere una costituzione. A Vienna c’erano i Borbone più che la Francia, infatti proprio durante il Congresso le quattro grandi potenze si trovarono a dover di nuovo entrare in guerra con la Francia per il ritorno di Napoleone a Parigi nei Cento giorni.
E’ vero che grazie all’abilità di Talleyrand la Francia riuscì a incunearsi tra gli interessi dei vincitori, da un lato Inghilterra e Austria impegnate a stabilire un equilibrio di potenza in Europa, e dall’altro Russia e Prussia interessate a estendere la loro egemonia. Ma l’assetto stabilito a Vienna, nel quadro della restaurazione dei sovrani “legittimi” e dell’equilibrio di potenza, aveva come obiettivo primario quello di impedire una nuova espansione della Francia: allo scopo vennero ridisegnate le cartine geografiche costruendole attorno una fascia di stati cuscinetto. Inoltre, l’assetto politico-territoriale fu completato da due patti che escludevano la Francia, uno più ideologico (la Santa Alleanza) e l’altro funzionale (la Quadruplice Alleanza) a mantenere l’ordine reprimendo negli stati le spinte rivoluzionarie, nazionali e liberali. Ora, questo sistema oltre a essere poco democratico e liberale – ma forse non è questo che Bersani apprezzava – si è rivelato anche poco efficace a mantenere l’ordine e infatti è saltato per aria dopo 15 anni.
Ma ciò che è ancora più paradossale è il paragone con la fine della Guerra fredda come se, a differenza di Metternich e del Congresso di Vienna, dopo il crollo del muro di Berlino l’Occidente e quindi gli Stati Uniti avessero umiliato la Russia senza coinvolgerla in alcuna scelta. Non stanno affatto così le cose: la riunificazione della Germania è avvenuta di comune accordo, attraverso un dialogo costante tra Stati Uniti, Germania ovest e Urss. Anche dopo la fine dell’Unione sovietica, l’occidente guidato dagli Stati Uniti ha coinvolto la Russia nella Nato (Partenariato per la pace 1994; missione comune Sfor in Bosnia 1996; Nato-Russia Founding Act 1997) e l’ha fatta entrare nel G8 (1998) proprio per non far percepire l’allargamento a est della Nato che è avvenuto negli anni successivi come una minaccia alla sua sicurezza.
Certo, non è sufficiente se al Cremlino arriva chi ha ambizioni di grande potenza e vanta pretese sugli stati limitrofi che cercano autonomia e democrazia. Ma ripescare Metternich per in qualche modo giustificare l’imperialismo di Putin è forse troppo.