Golden power e 5G: così Draghi rafforza lo scudo anticinese
La legislatura più pazza del mondo pone rimedio alle sue follie: dal Conte I fino alla riforma voluta da Chieppa e Garofoli
Modificata la norma sulla rete ultraveloce: servirà un piano annuale per gli operatori di mercato. Si rafforza anche la disciplina dei poteri speciali contro scalate ostili (anche europee) nei settori strategici. Dalle strambate gialloverdi sulla Via della seta fino alle conseguenze diplomatiche della guerra di Putin. Il premier alla ricerca di una nuova intesa con gli Usa
La riforma era pronta da settembre. E anzi, per certi versi, l’inizio della storia risale fino al pasticcio che ha reso necessario poi prendere le contromisure: nella firma, cioè, della Via della seta. E’ così che la legislatura più pazza del mondo pone rimedio alle premesse sgangherate, nega se stessa e le sue follie diplomatiche. Perché era proprio mentre ci si mostrava al mondo come il ventre molle dell’Europa nei confronti della Cina che Giancarlo Giorgetti, allora sottosegretario alla Presidenza nel Conte I, provava come poteva a metterci una toppa con l’ambasciata americana. Di lì, la riforma della disciplina del 5G e quella del golden power sono passate per le mani di Roberto Chieppa, segretario generale di Palazzo Chigi, e quindi per quelle di Roberto Garofoli. E ora, mentre la guerra di Putin impone di ristabilire le regole del gioco geopolitico, diventano finalmente realtà.
In Cdm, ieri, il dossier è arrivato quasi senza clamore, nascosto nel fragore delle polemiche sul caro benzina. E però il potenziamento dei poteri speciali, di cui il governo si dota per mettere al riparo da manovre ostili di mercato gli asset strategici del paese, segna una nuova fase. Di certo per quel che riguarda il 5G, l’infrastruttura digitale su cui passano, e passeranno sempre più, interessi e affari decisivi. E si capisce allora perché già in èra Trump, Washington aveva chiesto agli alleati una sorta di allineamento: escludere la minaccia cinese dalle reti ad altissima velocità. A Roma l’ordine era arrivato proprio mentre Salvini e Di Maio sbandavano sulla Via della seta, e anche per questo si corse ai ripari inserendo alcune misure ad hoc nella riforma più generale del golden power. Ora, dopo tre anni di transizione, la normativa prende nuova consistenza. Viene, cioè, introdotto l’obbligo a tutti gli operatori di telecomunicazioni attivi sul campo del 5G – e lo stesso avverrà, con apposito dpcm, anche sulle reti Cloud – di comunicare al governo un piano d’intervento annuale, che Palazzo Chigi dovrà poi approvare, riservandosi il diritto di imporre delle prescrizioni o di porre un veto. Una modifica che consente di mettere ordine nella vigilanza.
Al tempo stesso, si rafforza il golden power anche su altri settori sensibili. Va a regime la norma transitoria – varata in epoca di pandemia – che estende l’applicazione dei poteri speciali del governo anche sulle acquisizioni di minoranza: così da evitare di ammettere presenze extraeuropee, e potenzialmente ostili, nelle stanze dei bottoni. Ma anche sul fronte intraeuropeo c’è una stretta: perché “nei settori delle comunicazioni, dell’energia, dei trasporti, della salute, agroalimentare e finanziario, ivi incluso quello creditizio e assicurativo”, si legge nella bozza del decreto, la disciplina del golden power verrà applicata anche ad aziende comunitarie. E non basta. Perché il provvedimento introduce anche l’istituto della prenotifica: in sostanza, una comunicazione preventiva che le aziende intenzionate ad attuare operazioni di mercato su settori strategici potranno fare al governo per avviare formalmente un confronto nel merito.
Il tutto, infine, con l’istituzione di un comitato di dieci esperti che andrà a rafforzare la struttura del Dipartimento di Palazzo Chigi dedito all’applicazione del golden power. Una squadra che potrà collaborare direttamente con la Guardia di Finanza, così da avviare indagini con tempi e strumenti adatti. Indagini, insomma, che dovranno evitare il ripetersi di casi come quello di Alpi Aviation, la società di Pordenone che produce droni militari ad alta tecnologica e che, attraverso quella che il Copasir ha descritto come “una complessa e ramificata rete di partecipazioni”, ha ceduto il 75 per cento delle proprie quote “al controllo di due rilevanti aziende riconducibili alla Repubblica popolare cinese”. In quel caso, ci si avvide del pericolo a cose quasi fatte, e si dovette correre ai ripari. Era l’autunno scorso. E Franco Gabrielli, responsabile dell’intelligence a Palazzo Chigi, disse che cose del genere non si sarebbero più dovute ripetere.