Un virus dalla Cina, una guerra dalla Russia. Cosa insegna Zelensky alle nostre democrazie

Claudio Cerasa

Un paese come l’Italia avrebbe il dovere di intestarsi un’altra battaglia: per esempio, lo stop totale dell’importazione di petrolio e gas russo. Gli applausi al presidente ucraino per non essere ipocriti hanno bisogno di essere accompagnati da altri fatti

Lo schema è sempre lo stesso: un virus che arriva dalla Cina, una guerra che arriva dalla Russia, un vaccino che arriva dall’occidente. E oggi come ieri il problema è sempre quello: cosa siamo disposti a fare per aggredire i virus nemici della nostra libertà? Il discorso offerto ieri alle Camere da Volodymyr Zelensky conteneva una sfumatura differente rispetto agli interventi consegnati dal presidente ucraino al Parlamento britannico, a quello canadese, a quello tedesco e a quello israeliano.

 

In ciascuna di queste occasioni,  Zelensky ha cercato di rafforzare l’empatia con il proprio popolo attraverso l’evocazione di uno storico trauma patito dal popolo rappresentato dal Parlamento ospitante. In Inghilterra, ha evocato l’ora più buia di Winston Churchill, provando a creare una simmetria tra la guerra contro la Russia e la guerra contro il nazismo. In Germania, ha evocato il Muro di Berlino, provando a creare una simmetria tra la divisione dell’Europa creata dall’Unione sovietica e quella voluta dalla Russia. Negli Stati Uniti, ha citato Pearl Harbor e l’11 settembre, provando a creare una simmetria tra la  guerra combattuta in Ucraina e “il male che cercò di trasformare le città americane in un campo di battaglia”. In Israele, ha citato l’Olocausto, provando a creare una simmetria tra lo sterminio degli ebrei e quello degli ucraini.

 

In Italia, invece, Zelensky ha scelto di   andare al sodo, evitando di riaprire ferite del passato, niente evocazione della Resistenza, concentrandosi su un messaggio preciso, forte, altrettanto dirompente, che potremmo provare a sintetizzare così: amici italiani, grazie del vostro sostegno, non lo scorderemo mai, ma anche a voi devo chiedere se pensate che sia sufficiente ciò che state già facendo per difendere la libertà che Putin ha scelto di aggredire con la forza della violenza. Da questo punto di vista, il tour di Zelensky nei parlamenti delle grandi democrazie ha offerto due sensazioni diverse e contrastanti.

 

Da una parte ha spinto i governi a chiamare le cose con il loro nome, a mettere da parte ogni titubanza contro il putinismo e a riconoscere quali sono i confini da difendere per proteggere le nostre democrazie. Dall’altra parte, però, Zelensky ha ricordato ciò che le società aperte possono fare, e che non hanno ancora voluto fare, per combattere fino in fondo una guerra che hanno deciso di delegare ad altri. Inviare subito altri armi, per esempio. Chiedere a tutte le aziende che lavorano in Russia di non lavorare più in Russia. Isolare Putin anche a costo di pagare un prezzo. Smetterla di finanziare la guerra di Putin acquistando ancora il suo petrolio e il suo gas. Smetterla di temporeggiare, come ha chiesto ieri anche Mario Draghi, di fronte alla richiesta dell’Ucraina di entrare a far parte dell’Unione europea. E non aver paura di mettere in campo ogni possibile soluzione complementare all’uso delle armi, compreso l’invito a Papa Francesco a Kyiv, che potrebbe spingere la Russia a non affondare la sua lama. “Oggi – ha detto ieri Mario Draghi replicando alla Camera al discorso di Zelensky – l’Ucraina non difende soltanto se stessa. Difende la nostra pace, la nostra libertà, la nostra sicurezza”.

 

In due anni, il mondo libero, compresa l’Italia, si è ritrovato a combattere contro un virus venuto dalla Cina e contro una guerra venuta dalla Russia. In entrambi i casi, il vaccino giusto è quello che arriva dall’occidente. Con il primo virus, abbiamo messo in campo tutta la nostra forza. Con il secondo virus, possiamo dire lo stesso? Gli applausi a Zelensky  per non essere ipocriti hanno bisogno di essere accompagnati da altri fatti. E un paese come l’Italia avrebbe il dovere di intestarsi un’altra battaglia: per esempio, lo stop totale dell’importazione di petrolio e gas russo (le esportazioni dall’Ue alla Russia, intanto, sono scese da 4 miliardi  di febbraio ai 650 milioni   della scorsa settimana). La guerra si vince con le armi e  con la diplomazia. Ma per evitare di perderla non finanziare gli eserciti nemici potrebbe non essere una cattiva idea.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.