Intervista

Oltre alle risorse, serve una visione diversa delle forze armate. Parla il generale Bertolini

Annalisa Chirico

“Sono uno strumento di affermazione della sovranità di un paese”. Problemi di numeri, armamenti e addestramento. Intervista al generale Bertolini, già a capo del Coi e della Folgore, con incarichi al vertice di delicate missioni internazionali

"Ben venga il due per cento del pil ma insieme alle risorse finanziarie serve una visione nuova”, parla così al Foglio il generale Marco Bertolini, classe 1953, in pensione dal 2016, una carriera prestigiosa, a capo del Coi e della Folgore, con incarichi al vertice di delicate missioni internazionali tra Afghanistan, Libano, Somalia, Bosnia e Kosovo.

 
“A partire dalla caduta del Muro, con la fine della Guerra fredda, è invalsa l’idea che la guerra non fosse stata semplicemente ripudiata ma abolita dall’art.11 della Costituzione. Adesso, con la crisi ucraina, ci rendiamo conto che la guerra continua a mietere vittime, così anche quanti, fino a ieri, indossavano i panni dei pacifisti, ora sembrano pronti ad andare al fronte”. Con l’invasione russa il comparto della difesa ha guadagnato una nuova legittimazione. “Da almeno trent’anni le spese militari sono considerate secondarie, in tutta Europa ma soprattutto in Italia, senza comprendere che la guerra fa parte del panorama della vita umana. E’ prevalsa l’ideologia, come se la vittoria del progresso, teorizzata da Francis Fukuyama, potesse cambiare la realtà”.

 
Lo storico Fukuyama preconizzava la fine della storia in seguito all’affermarsi dell’egemonia occidentale… “Adesso è chiaro a tutti che le cose sono andate diversamente. Già prima della crisi ucraina, attorno a noi si sono combattute battaglie con civili morti ammazzati, persone fucilate, bombardamenti. Finalmente è venuta meno l’ipocrisia di chi si ostinava a non vedere, in questi anni, la realtà della guerra”. Con il rinnovato impegno Nato per una spesa militare in risalita, quali dovrebbero essere le nostre priorità strategiche? “Anzitutto, deve essere chiaro che le forze armate non servono solo alla difesa ma sono uno strumento di affermazione della sovranità di un paese. Lei pensi ai ministri della Difesa: un tempo c’erano gli Spadolini e gli Andreotti, figure di primissimo piano; negli ultimi tempi il ministero di Palazzo Baracchini è destinato alle seconde file, dopo l’Economia, gli Interni, gli Esteri… La sovranità è il bene ultimo in nome del quale militari e ministri prestano giuramento; senza sovranità l’esistenza stessa di uno stato viene meno. Un esempio è il Kosovo: la Serbia tollera l’esistenza di una forza di polizia locale purché si chiami Kosovo Security Force e non Army proprio per non riconoscerne la sovranità. In medioriente noi italiani partecipiamo, con l’assenso di Israele, a una missione di formazione e addestramento della polizia palestinese. Israele lo accetta purché non si parli di esercito palestinese”.

 
Quali sono le principali carenze delle nostre forze armate? “C’è un problema di numeri e armamenti. Anzitutto, negli anni, proprio a causa della tara ideologica antimilitarista, si è passati dalle 300 mila unità dell’esercito di fine anni Ottanta alle dimensioni attuali, sotto le 90 mila. Con la retorica della pace il mestiere del soldato è diventato una mera opportunità lavorativa, spesso adibito a compiti che poco hanno a che vedere con la difesa vera e propria. Va bene puntare sui professionisti ma la guerra ha bisogno anche di massa e giovani. Noi abbiamo un esercito di gente che invecchia, perlopiù cinquantenni con famiglia impiegati come assaltatori e fucilieri. L’idea di sopperire alla quantità con la qualità contraddice i princìpi dell’arte della guerra”.

 
Quale sarebbe una “massa” adeguata? “Almeno 150 mila unità per l’esercito. Insieme ai professionisti servono anche i riservisti, giovani che possono arruolarsi per un massimo di cinque o sette anni per poi svolgere altre professioni. La guerra si fa con i grandi numeri e con il vigore fisico dei giovani”.

 
Lei è favorevole al ripristino della naja? “No, io penso a giovani che non siano in servizio permanente effettivo. Oggigiorno il precariato in ambito militare non esiste sebbene sia necessario: senza i giovani non si fa la guerra. E poi c’è il tema degli armamenti: l’attuale componente corazzata è insufficiente sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Siamo indietro, la nostra artiglieria è ridotta al lumicino. Servirebbero almeno duecento carri armati efficienti. E poi manca l’addestramento: i nostri paracadutisti effettuano pochissimi lanci perché mancano i velivoli. Per le esercitazioni dobbiamo affittare spazi in Egitto, Qatar, Polonia, dobbiamo farci prestare i poligoni perché da noi scoppiano le proteste per l’inquinamento. Fa un po’ riflettere che adesso i pacifisti siano quelli più assatanati con l’interventismo in Ucraina”.

  
L’Europa ha approvato lo Strategic Compass per la difesa comune: 5 mila unità. Sono poche? “Una brigatina, non certo un esercito. Ma torno al punto di partenza: le forze armate sono un’affermazione di sovranità e, dunque, di politica estera. Difficile immaginare un esercito comune senza una politica estera condivisa dai 27”.