Palazzo Chigi

La telefonata Draghi-Putin: uno cerca la pace, l'altro pensa ai rubli

Carmelo Caruso

Il premier chiama il presidente russo e chiede il cessate il fuoco: "La chiamo per parlare di pace". È la strategia europea (lasciare sfogare Putin) contrapposta alla linea dura degli americani

Uno voleva parlare di pace, l’altro si preoccupava dei rubli. La telefonata tra Mario Draghi e Vladimir Putin c’è stata. E’ durata 45 minuti. Voleva essere la prova che “se c’è uno che cerca la pace, quello sono io” e che “non c’è nessuna retorica bellica” da parte dell’Italia.

 

Draghi ha usato il titolo di “presidente Putin” e ha immediatamente premesso che “la chiamo per parlare di pace”. Putin, che negozia in Turchia, con l’Ucraina che non ha tuttavia smesso di bombardare, lo ha informato sull’esito dei colloqui. Macron ormai numera queste conversazioni. Per Draghi era la prima da quando è iniziato il conflitto. Si è caricata di aspettative sin dal mattino da quando il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, l’ha annunciata. Non appena la linea, da Palazzo Chigi, si è aperta, dopo quel saluto, che era chiaramente preparato, il premier italiano ha chiesto a Putin il cessate il fuoco che “deve avvenire quanto prima per proteggere la popolazione civile”.

 

Ed era chiaro che parlavano un altro codice. Draghi non ha mai nascosto tutto il suo scetticismo sulla volontà reale da parte di Putin di trattare, ma al contrario del presidente americano non ha mai usato la parola “macellaio”. E’ un approccio diverso. E’ la tecnica che stanno utilizzano i capi della Ue: “Ascoltare Putin, lasciarlo sfogare”. Il fronte americano e anglossassone sono per le sanzioni lunghe. La Ue è come se volesse lasciare una porta aperta, dare il segnale che se Putin cessa le ostilità si può sedere al tavolo.

 

Sono telefonate che servono a precisare meglio le richieste territoriali, per definire meglio i termini del negoziato. L’Italia, che il presidente ucraino Zelensky ha proposto come paese garante, si è offerta dunque per “contribuire al processo di pace”. Il governo italiano si candida per un ruolo di mediazione che può essere svolto anche grazie all’asse con la diplomazia vaticana. E’ vero quindi che offriva questa disponibilità, ma al telefono, con Putin, Draghi la condizionava ai “chiari segnali di de-escalation”.

Putin voleva invece spiegare, come ha fatto subito dopo con il cancelliere Scholz, come funzionerebbe il pagamento di gas in rubli. Draghi a quel punto raccontano si sia “limitato ad ascoltare”. La sua posizione è sempre stata “no”. A Palazzo Chigi, i diplomatici, continuano a ripetere che Putin non chiuderà mai i rubinetti. Non ci sono veri gasdotti per la Cina. Gli unici che possono acquistarlo sono gli europei. Gli unici che rimanendo al fianco dell’Ucraina possono veramente affamarlo.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio