Il personaggio
Conte attacca Letta: "Non siamo la tua succursale". Il Pd: populista della guerra
Mattarella convoca l'ex premier per capire le intenzioni sul governo: viene rassicurato. Inizia così la campagna elettorale dei grillini
Cambio di strategia del leader M5s: insieme a Draghi nel mirino ci finiscono anche i dem. Che lo paragonano alla Le Pen: specula sulla crisi
Alle 16 è ancora madido. La camicia bianca un po’ troppo sbottonata, le maniche tirate su. Il ciuffo scosso. Irriconoscibile. Urlante. L’avvocato del pueblo. “Non ci silenzieranno mai!!”. Otto pugni sul tavolo. Alle 16 Giuseppe Conte è in trance agonistica. Un po’ Dibba, un po’ Toninelli. Con un’insolita diretta Instagram (a rischio boomer) avvisa Mario Draghi, ma anche il Pd, che non si fermerà. Le spese militari non sono che un debutto. “Non siamo una ruota di scorta”, manda a dire a Enrico Letta. Bum, cazzotto sul tavolo. Alle 17 l’ex premier sale al Colle. Si sarà calmato?
Dalle parti di Sergio Mattarella, a dire il vero, lo cercavano già dalla sera di mercoledì. Per trenta minuti la batteria del Quirinale, intorno alle 20, ha provato (a vuoto) a contattare l’ex premier. Inutile: non rispondeva. Dopo 24 ore l’incontro fra Conte e il capo dello stato. Un’ora e mezza di colloquio, dopo le “fibrillazioni” create al governo sull’aumento delle spese militari fino al 2 per cento del pil. La causa di un’altra visita al Colle, due giorni fa, ma questa volta di Mario Draghi. Cosa si sono detti Conte e Mattarella?
Lo staff del capo M5s tiene a specificare che “la stabilità dell’esecutivo non è stato un tema affrontato, al contrario abbiamo rappresentato al capo dello stato le difficoltà verso le quali andranno incontro gli italiani nei prossimi mesi”. Fra le righe dell’asciutta nota del Quirinale ci sono indizi che portano ad altro, seppur con le sfumature e le liturgie del caso. Premessa: “E’ stato un colloquio informativo come avviene usualmente tra il presidente della Repubblica e i partiti politici”. Il clima è stato “disteso e costruttivo”. La chiave sta nell’ultimo aggettivo: “Costruttivo”. Ergo è facile immaginare che sul tavolo siano piombate le intenzioni del M5s per i prossimi mesi. Con le rassicurazioni del caso. Che cozzano però con i presentimenti di Draghi, convinto che i grillini vogliano tirare la corda il più possibile per risalire nei sondaggi, mettendo anche in conto (chi lo sa) l’incidente. Aver ottenuto il raggiungimento entro il 2028 della soglia del 2 per cento del pil per le spese militari a Conte non basta. “Adesso vorremo capire anno per anno a quanto ammonterà la spesa”.
Il capo dei grillini, toro scatenato che rifiuta il moderatismo, dice che vigilerà sul Def e poi sulla manovra. “Prima gli italiani”. Non è il vecchio Matteo Salvini, ma il nuovo Giuseppe Conte. Che in serata, di ritorno dal Quirinale, riunisce il consiglio nazionale del M5s, dicitura di per sé un po’ marziale, per parlare di guerra e Def. “Pretendiamo pari dignità e rispetto: non siamo la succursale del Pd”, dice ancora Conte che nel panorama di queste giornate riempie i vuoti comunicati lasciati liberi ormai dal capo della Lega, diventato silenzioso e parco di parole.
Anche Letta sta zitto. Assiste all’evoluzione dell’alleato e continua a capire se il cambio di legge elettorale con il ritorno del proporzionale potrebbe in qualche modo portarlo a Palazzo Chigi. Difficile. Nel Pd sono nervosi: hanno capito che il M5s adesso andrà a caccia dei voti di sinistra e che sarà quanto di meno strutturato si possa pensare quando a qualcuno viene in mente la parola alleato. “Nessuna risposta a Conte è di per sé una risposta”, spiegano serafici dal Nazareno. In poche parole la linea dem è: non cadiamo in provocazioni, lasciamolo sfogare, non facciamoci usare come leva in questo momento. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ribadisce che l’Italia sulle spese militari deve andare avanti “senza tentennamenti”. Inoltre da leader di Base riformista, corrente dem primaria in Senato, auspica serietà e compattezza da parte della coalizione rossogialla. Chi sta vicino a Letta fa con una certa brutalità questo ragionamento: “Speculare sull’economia di guerra è la strategia che usano i populisti e i sovranisti in questo momento. Non a caso in Francia Marine Le Pen ha guadagnato sette punti nei sondaggi nelle ultime settimane”. Conte è tornato a spulciare sondaggi come gli antichi romani facevano con gli aruspici. Sono la bussola del M5s. E dunque le danze si sono appena aperte. Le truppe sono gasatissime, bisogna registrarlo. Il decreto Ucraina ha registrato le assenze non giustificate di tre M5s: Gianluca Ferrara, Alberto Airola e Daniele Pesco, presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama.
Metodico Vito Petrocelli: dal presidente grillino della commissione Esteri nessuna sorpresa. E’ filorusso, lo chiamano Petrov, e ha votato contro il decreto. Ora Conte dovrà mandarlo via dal Movimento. Appena avrà i poteri per farlo (c’è sempre quella storia del tribunale di Napoli che formalmente lo ha congelato dalla carica, ma queste sono davvero quisquilie, forse).