Il retroscena
Il multilateralismo di Letta: le telefonate con Di Maio e gli incontri con Meloni
Il segretario del Pd va poco d'accordo con Conte, ma ha rapporti molto assidui con il ministro degli Esteri. E domani vede per l'ennesima volta la leader di FdI a un'iniziativa pubblica
Ci sono legami e consuetudini telefoniche che in questi giorni iniziano a venire a galla. Sono i riflessi della politica interna davanti all’invasione russa. Rientrano dunque nella categoria dei fatti “i rapporti più che buoni e costanti” che Enrico Letta e Luigi Di Maio stanno coltivando. Da quando è scoppiata la guerra, poi, il ministro degli Esteri e il segretario del Pd si trovano quasi tutti i giorni – a livello di dichiarazioni – sulla medesima lunghezza d’onda. E non è impossibile che poi scatti una telefonata o un messaggino.
Entrambi non hanno paura di chiamare Vladimir Putin con il suo nome (per questo il grillino ha rimediato anche minacce di morte via Telegram). Entrambi spingono “per sanzionare il gas russo”. Per il leader del Nazareno, niente affatto balbettante sulla collocazione italiana in questo momento storico nell’asse atlantico, “Di Maio è un riferimento”. Lo è, ovvio, dal punto di vista istituzionale e, chissà, magari anche dal punto di vista politico. Perché in parallelo c’è Giuseppe Conte. L’avvocato del pueblo piace alla sinistra intra ed extra Pd (oggi la vicepresidente del M5s Alessandra Todde sarà a un convegno sulle politiche industriali con Pier Luigi Bersani). E dice no a “un vetero-atlantismo di stampo fideistico”, come ha spiegato a Repubblica. L’ex premier si è messo in testa di minare il campo largo rossogiallo partendo dalla base rossa, perché quella gialla è abbastanza sparuta. Letta lo sa : oggi la segreteria presenterà le proposte del Pd in campo economico.
Per il segretario, la ricetta dem di un’economia di guerra sarà anche il modo per spiegare agli elettori che il Nazareno non pensa solo alla spesa militare. Il tema cioè da cui Conte è partito per l’operazione riscossa. Ai danni della stabilità del governo, ma anche dell’alleato. E così il capo del M5s annuncia un presidio fisso sul Def (“il governo dovrà ascoltarci”) e contesta anche la linea di Letta sullo stop al gas russo (“Oltre ai tweet serve la soluzione e dunque la proposta: Energy Recovery Fund, con dentro tutti, Germania e Olanda comprese”). Letta dice di avere chiare tutte le conseguenze interne che la guerra sta portando. Ha detto ai fedelissimi di non replicare alle “provocazioni” dei 5 stelle e sulla legge elettorale è realista. Rimane un forte bipolarista e sulla voglia di proporzionale si appella al modello spagnolo, lanciato dal suo predecessore Nicola Zingaretti, ieri tornato a invocarlo (e seguito da Orfini, Marcucci e Area dem). Non si sa quanto ci creda il segretario del Pd a un cambio della legge elettorale.
Come c’è chi insinua che, al contrario, abbia un “patto di ferro” con Giorgia Meloni per non toccare nulla e per giocarsi tutto, l’uno contro l’altra, alle prossime politiche. I “Sandra e Raimondo” (copyright della Capa di FdI) del nostro Parlamento domani, per l’ennesima volta, si troveranno faccia a faccia a un’iniziativa pubblica. “Le libertà a rischio: la sfida del secolo”: è il titolo del convegno organizzato dalla fondazione Farefuturo e dall’Iri (International republican institute) nella Sala capitolare del Senato in piazza della Minerva. Sicché Letta non potendosi scegliersi gli alleati almeno trova soddisfazioni negli avversari. Ma il problema rimane il M5s, per il Pd. Conte, all’assalto sul proporzionale, dice di non voler rompere, ma pungolare. È sicuro che i sondaggi gli rideranno e vuole passare per il “controllore” del bus guidato da Mario Draghi, quello delle posizioni articolate che piacciono alla sinistra e alla Cgil. Chissà se Letta si sfoga mai con Di Maio: ah, se c’eri tu...
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