Salvini confida nel sostegno di Mattarella. "Il fisco? Draghi non è qui per alzare le tasse"
Il capo della Lega rivendica la linea della fermezza: "Se vogliono la patrimoniale, se la votino con la sinistra". I sospetti sui collaboratori del premier, il tentativo di convincere l'ex banchiere a fare ammuina. Ma a Palazzo Chigi meditano la fiducia. E sulle baruffe del Carroccio si allungano le ombre russe
L’indizio che ha dato consistenza al sospetto è arrivato in serata: quando, cioè, lungo il filo diretto che legava Palazzo Chigi con l’aula della commissione Finanze della Camera, è giunto l’ordine di tenere duro: “Anche con 24 a 24, andate avanti”. E siccome poche ore prima Matteo Salvini aveva sentito Mario Draghi, e da lui aveva ricevuto rassicurazioni, e siccome nello stesso pomeriggio di mercoledì il capo della Lega, stando a quanto lui stesso ha raccontato ai suoi fedelissimi, si era sentito anche con Sergio Mattarella (“Ed entrambi mi hanno detto che non è il momento di alzare la tasse”), a quel punto il sospetto s’è confermato: “Tra i collaboratori del premier c’è chi gioca sporco, dunque sul fisco noi teniamo duro”.
L’indiziato è sempre lui: Francesco Giavazzi, il consigliere economico di Draghi che, nelle paranoie condivise tra Carroccio e Forza Italia, è il responsabile d’ogni imboscata quando si parla di fisco. Il tutto, nonostante mercoledì sera sia stato lo stesso premier a rivendicare la linea dura sulla delega fiscale, a paventare il ricorso alla fiducia, a intestarsi la strategia già usata un mese fa. Solo che stavolta, in effetti, qualcosa nella linea di comando non ha funzionato. Perché mentre Draghi vantava i suoi numeri (“Il governo ha già vinto in commissione, speriamo di vincere di nuovo”), Luigi Marattin, che quella commissione era chiamato a presiederla, faceva conti che davano risultati diversi. La Lega, infatti, come già aveva fatto il Pd, otteneva un ricalcolo dei suoi rappresentanti che le consentiva di aggiungere un soldato alla truppa. In più Alessandro Colucci, centrista vicino a Maurizio Lupi che finora s’era schierato con l’esecutivo finendo bersagliato dalle ingiurie dei parlamentari di destra, saltava la barricata. E così, per evitare che la destra trionfasse, c’era bisogno che Marattin, da presidente, votasse. “Se si può fare, fatelo”, dicevano da Palazzo Chigi, a dare l’idea di quale sia la fermezza di Draghi sul tema. E fare, in teoria, si poteva anche fare. “Ma davvero vogliamo votare 400 emendamenti così, 24 contro 24, col rischio di scivolare a ogni occasione?”, si lamentava il renziano. Di lì, la resa: “Il problema è politico: non posso certo essere io a risolverlo”.
E il problema in effetti è davvero politico. Nel senso, però, deteriore del termine. Perché, al di là dei singoli pretesti, il problema resta sempre quello: il catasto. “E siccome questa è la riforma del fisco della sinistra, se la votino coi voti della sinistra, se ce li hanno, perché io una patrimoniale non la voto”, sbuffa Salvini a ora di pranzo nel suo ufficio, dove ha riunito un gabinetto d’emergenza coi responsabili economici del partito. Ci sono i senatori Alberto Bagnai e Massimiliano Romeo, c’è il deputato Alberto Gusmeroli e il sottosegretario al Mef Federico Freni. E c’è anche Giancarlo Giorgetti, in videocollegamento. E pure lui condivide il verbo della fermezza. Semmai, è la convinzione del ministro dello Sviluppo, servirebbe dismettere ogni doppiezza sulla Russia per evitare ogni possibile retropensiero, “ma sulla nostra contrarietà all’aumento delle tasse non arretriamo”. Nello stesso momento, anche Antonio Tajani è a colloquio un gruppo di parlamentari, e l’esito dell’incontro è lo stesso: “Sul catasto e sul fisco non si cede”. “E non perché noi ci allineiamo alla Lega, semmai è la Lega che qui asseconda la nostra posizione storica”, afferma l’azzurro Antonio Martino.
E insomma Salvini espone le sue ragioni: ché non solo il premier, ma anche il capo dello stato condivide “la necessità di non mettere le mani nelle tasche degli italiani”. Con Sergio Mattarella Salvini s’è sentito mercoledì, racconta l’ex ministro dell’Interno ai suoi: il motivo del confronto era la riforma del Csm, altro motivo di baruffa nel governo, ma poi si è finiti a parlare di fisco. “Ma dico io – insiste il leader della Lega – ma possibile che si debba riformare il catasto con una maggioranza così eterogenea, a otto mesi dalle elezioni? Ma non era nato per fronteggiare l’emergenza del Covid, questo governo?”. E qui però sta il problema, tutto politico, della trattativa che verrà. Non oggi, perché Salvini a Palermo per il processo sul caso Open Arms. Né lunedì, quando Draghi volerà in Algeria per parlare di gas. “La settimana prossima ci confronteremo”, spiegano da Palazzo Chigi. E però la richiesta che dal capo del Carroccio arriverà suonerà di certo fastidiosa, alle orecchie del premier. Gli suggerirà di soprassedere, di fare ammuina: insomma, l’unica soluzione è non cercarla neppure, la soluzione, prendere atto che non ci sono le condizioni per riformare il fisco, se ne riparlerà con la prossima legislatura. “Ma l’idea che siccome c’è la guerra le riforme devono fermarsi è semplicemente sbagliata”, ripete Draghi. Che, semmai, valuterà la percorribilità di un’altra strada. Quella, cioè, della conta in Aula, magari con un voto senza mandato al relatore, e possibile conseguente questione di fiducia. “E glielo dice lui, a Biden, che il governo italiano rischia di cadere per una riforma del catasto?”, mugugnano nel Carroccio. Solo che a Palazzo Chigi sono convinti che, semmai ci sia qualcuno che deve dare spiegazioni agli americani, qualcuno che dovrebbe rendere conto del perché si mette a rischio la compattezza del fronte euroatlantico facendo contento Putin, è proprio Salvini. “Wich side are you on, Matteo?”.