Il G20 di Roma, lo scorso novembre (Ansa)

governance da rifare

Cosa succederà dopo la scomparsa del G20? Scenari 

Pier Carlo Padoan

Aveva resistito alla crisi economica e a quella pandemica, ma ora il multilateralismo è rimasto vittima della guerra in Ucraina. Il futuro sembra essere all’insegna del G2 di Usa e Cina. Con l’Europa alla finestra

Come è spesso accaduto nel sistema globale, dopo una crisi di proporzioni sistemiche si verificano significative trasformazioni delle istituzioni, nazionali ma sopratutto internazionali che nella crisi sono state coinvolte. Queste trasformazioni rappresentano il segno della inadeguatezza delle istituzioni preesistenti ma anche del tentativo di costruzione di istituzioni più adeguate. Nei due decenni passati il sistema globale ha attraversato almeno quattro crisi sistemiche. La grande crisi finanziaria scoppiata alla fine del decennio 2000, la crisi del debito sovrano dell’inizio del decennio successivo, la crisi pandemica, e naturalmente la crisi, tutt’ora in corso, dell’aggressione russa all’Ucraina.

La grande crisi finanziaria ha dato vita al G20 dei leader (prima il G20 coinvolgeva solo i ministri delle Finanze). La crisi del debito sovrano, durante la quale l’euro è stato sul punto di crollare, ha dato vita al lancio dell’unione bancaria, il cui progresso e ancora in corso. La crisi Covid ha visto fare un salto in avanti alle istituzioni economiche dell’Unione europea con il lancio del sistema Sure (per il sostegno del mercato del lavoro) e del Next Generation EU per il rilancio della crescita con misure di sostegno alla domanda (investimenti pubblici) e all’offerta (ancora investimenti pubblici e finanziamenti “europei”). La crisi russo-ucraina, ancora in corso e di durata assai incerta, ha comunque prodotto un primo impatto sulle istituzioni di governance globale. Ha distrutto il G20. Il G20, come è noto, è stato assunto a principale strumento di governance dell’economia globale all’indomani dello scoppio della crisi finanziaria e raccoglie paesi avanzati ed emergenti che coprono oltre l’80 per cento del pil mondiale. Questi ultimi comprendono la Russia, oltre che la Cina, il Brasile, l’India e l’Indonesia, tra gli altri.

 

Il G20 non implementa direttamente scelte di policy. Se raggiunge un accordo dà mandato alle istituzioni internazionali, globali o regionali, Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, banche regionali di sviluppo, di passare all’implementazione. Con questo approccio “informale” si e potuto prima affrontare la crisi e successivamente indirizzare, con diversi gradi di successo, l’economia globale verso un percorso di crescita e sostenibilità.   

 

Dopo l’aggressione russa all’Ucraina i paesi del G20 sono in guerra tra loro. Alcuni come belligeranti dichiarati, altri in attesa di prendere posizione. E si combatte una guerra economica (con le sanzioni) e monetaria, con l’uso delle valute come armi (“weaponized”); una guerra militare con la fornitura e l’impiego di armi; infine una guerra elettronica. È chiaro che paesi in guerra tra loro non possono condividere la governance dell’economia globale. Per questo il G20 è morto. I suoi membri non condividono più una motivazione comune come quella per cui era nato. 

Cosa succederà dopo la scomparsa (di fatto) del G20? Si aprono diversi scenari ma che conducono tutti alla fine del multilateralismo e della globalizzazione come l’avevamo conosciuta (o almeno l’inizio della fine). E nella maggior parte di questi scenari la Russia non è, come a volte si sostiene,  isolata nello scenario globale. Molti paesi, a cominciare dalla Cina, mantengono una posizione ambigua rispetto a quale parte stare.

Un possibile scenario prevede la riorganizzazione della alleanze, almeno sul piano economico, su gruppi meno numerosi. C’è il G7 (di cui qualche anno fa la stessa Russia faceva parte) che potrebbe allargarsi ad altri paesi a economia di mercato. Dal canto loro i paesi emergenti hanno da tempo sperimentato forme di aggregazione e si sono anche dotati di istituzioni finanziarie specifiche (la Banca dei Brics, la New Development Bank istituita nel 2014, oltre che la Banca asiatica degli investimenti e delle infrastrutture, a cui partecipano anche paesi avanzati ma la cui leadership oltre che quota maggioritaria di partecipazione sono in mano  alla Cina).

Si prefigura allora uno scenario “regionalistico”, come quello che sembrava emergere dopo il fallimento dei negoziati commerciali globali alla fine del secolo scorso. Diverse istituzioni regionali potrebbero rimpiazzare una istituzione globale non più sostenibile. 

Ma quanto sarebbero, a loro volta, sostenibili gli accordi regionali? La solidità degli accordi regionali dipende, internamente, dal grado di integrazione (economica e non),  esternamente dai rapporti tra diversi attori regionali. Come  saranno tali rapporti? Una risposta di prima approssimazione è la  seguente. La capacità di un attore regionale di imporre le sue scelte agli altri sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà la sua capacita di definire e implementare una strategia di lungo periodo, che permetta di superare  anche fasi  di grave difficoltà. Ciò dipenderà dalla forza della sua economia  e della garanzia di sicurezza, militare a anche tecnologica di cui il paese, o la regione, potrà disporre .

 

Gli Stati Uniti e la Cina, per ragioni diverse, sono già in grado di difendere i propri interessi su base globale. Molti sostengono che sarà la loro relazione, il “G2”,  a definire il tono del mondo post globalizzato. E questa relazione potrebbe essere, “confrontational”, di reciproca deterrenza (una “nuova Guerra Fredda”), oppure di cooperazione a bassa intensità,  e da rinegoziare di volta in volta. Chi potrebbe cambiare il quadro verso una configurazione più equilibrata sarebbe l’Europa, ma questo risultato non è scontato. Non a caso la crisi russo-ucraina ha messo a nudo l’incompletezza del processo europeo in un momento di crisi del multilateralismo. Malgrado i significativi progressi sul piano dell’integrazione economica, l’Europa deve fare ancora molti passi avanti per guadagnare sicurezza energetica, militare e tecnologica. Oltre che finanziaria, visto l’incompleto sviluppo dell’Unione bancaria e del mercato dei capitali. Fattori essenziali per rendere l’euro attraente come valuta internazionale e quindi per potere utilizzarlo all’occorrenza come “arma” .

La sicurezza, come la crisi russo-ucraina ha messo in luce, è un bene pubblico europeo e richiede perciò istituzioni e meccanismi europei. Si conferma il punto da cui siamo partiti. Di fronte a crisi sistemiche occorrono istituzioni sistemiche. Per dirla diversamente, un ruolo più deciso e coeso dell’Europa sul piano globale offrirebbe una alternativa credibile al G2.

Di più su questi argomenti: