L'ipotesi di una manovra estiva, e poi elezioni anticipate. A destra ci credono, a Palazzo Chigi sorridono
I collaboratori di Draghi chiedono al Mef di elaborare scenari per anticipare i tempi della legge di Bilancio. E tanto basta per alimentare il sospetto: "Il premier si è stufato, vuole fare fare una Finanziaria a luglio e poi mandarci tutti a casa". Salvini un po' ci spera. I pettegolezzi dei collaboratori di Franco
Anticipare in estate la legge di Bilancio, o un suo surrogato, per accelerare la fine della legislatura. Lo scenario, apparentemente clamoroso, va raccontato per quel che è, al momento: un pettegolezzo ingrossatosi ruzzolando per i corridoi di Montecitorio, dopo che proprio lì, al quarto piano della Camera, l’indiscrezione ha preso forma e consistenza durante le zuffe sulla delega fiscale. La prospettiva di una crisi di governo che si palesa mentre se ne inscena una tutta improbabile, di crisi, e che si sostanzia di un reale, ormai abbastanza esplicito, fastidio di Mario Draghi nei confronti dei puntigli di Matteo Salvini e di Giuseppe Conte. Tutto, dunque, ha inizio martedì scorso.
E’ il pomeriggio del 5 aprile, la vigilia della presentazione del Documento di economia e finanza, quando da Palazzo Chigi viene avanzata una richiesta inusuale agli uffici del Mef: vengono cioè sollecitati i funzionari di Daniele Franco a elaborare un possibile percorso a tappe forzate verso la sessione di Bilancio. Anticipare la manovra, insomma. A Via XX Settembre studiano le varie ipotesi. Una è abbastanza semplice: prevede di fissare le scadenze della Nadef a metà settembre, per poi presentare la Finanziaria al Parlamento ai primi di ottobre. Replicando così la stessa procedura sincopata adottata per il Def – licenziato dal Cdm una settimana prima rispetto ai termini canonici – e venendo incontro a un’istanza cara a deputati e senatori: non a caso c’è una proposta di legge avanzata dal presidente della commissione Bilancio, il dem Fabio Melilli, in tal senso.
Se questa però è la simulazione più indolore, tra le varie che i tecnici del Mef elaborano ce n’è una assai estrema: una Finanziaria fuori stagione, da realizzare nel mese di luglio. Modificare, cioè, i saldi del Def senza attendere la tradizionale sessione di Bilancio. Un precedente, per quanto isolato, c’è ed è a quello che i fautori di questa tesi si rifanno per legittimare l’azzardo. E’ il decreto 112 del 2008: si tratta della manovra estiva voluta dall’allora premier Silvio Berlusconi, che volle così capitalizzare il consenso elettorale grazie al quale era da poche settimane tornato a capo del governo per la quarta volta. Il decreto, varato il 25 giugno, conteneva “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica” e si componeva di ben 85 articoli. Una Finanziaria a tutti gli effetti, che definì le politiche economiche dell’esecutivo pur lasciando aperti i saldi di bilancio, aggiornati poi nella Nadef di fino anno.
Un modello a cui ispirarsi? Chissà. Sta di fatto che il solo aver incluso questa tra le prospettive possibili è bastato a indurre i tecnici del Mef a innescare il chiacchiericcio parlamentare. E’ successo la scorsa settimana, mentre si consumava la sceneggiata della destra sulla delega fiscale. E’ stato lì, davanti alla Sala del Mappamondo di Montecitorio, a margine dei tribolati lavori della commissione Finanze, tra una baruffa e l’altra, che mercoledì alcuni deputati di Forza Italia hanno raccolto l’indiscrezione dai collaboratori di Franco. E subito l’hanno rilanciata alimentando il più malevolo dei sospetti: “Draghi s’è rotto le scatole. Noi continuiamo a minacciare sfracelli, ma quello a luglio fa la Finanziaria e poi ci manda tutti a casa”.
Luglio, non a caso. Perché, se così fosse, significherebbe procedere alla liquidazione della legislatura solo dopo aver rispettato le scadenze del semestre previste dal Pnrr: 45 progetti da cui dipende una rata da 24 miliardi. Conseguito quell’obiettivo, dunque, Draghi prenderebbe atto che le condizioni politiche per durare altri sette mesi non ci sono, che tirare in lungo sarebbe lo stesso che tirare a campare, che insomma tanto varrebbe prendere atto della fregola elettorale dei partiti di maggioranza e trarne le dovute conseguenze. Si imposterebbe dunque una manovra per rassicurare i mercati, lasciando che poi, dopo elezioni che si consumerebbero tra settembre e ottobre, sia il nuovo governo, appena insediato, a chiudere i saldi.
“Non esiste”, dicono però a Palazzo Chigi, dove la notizia relativa alle richieste inoltrate al Mef la scorsa settimana viene ridimensionata all’evidenza di semplice zelo preventivo: elaborare possibili scenari per essere pronti a ogni evenienza, vista anche l’incertezza dei tempi correnti. Nessuna ansia di farsi da parte, nessuna intenzione di rallentare il percorso delle riforme, da parte di Draghi. Che il pettegolezzo non sia allora, viene da sospettare, altro che il desiderio nascosto di Salvini e compagni? Una maldicenza messa in giro nella speranza che si trasformi in una profezia che s’autoavvera? L’uscita di scena anticipata di Draghi come wishful thinking dei leghisti. Una maldicenza pure questa?