Un dialogo sulla democrazia
Parlamentare o presidenziale. Quale sistema per l'Italia?
Tra pregi e difetti: il sistema scelto dai nostri costituenti non tutela fino in fondo la stabilità di governo, il modello concorrente presenta il rischio di derive autoritarie
“La Seconda Sottocommissione, udite le relazioni degli onorevoli Mortati e Conti, ritenuto che né il tipo del governo presidenziale, né quello del governo direttoriale risponderebbero alle condizioni della società italiana, si pronuncia per l’adozione del sistema parlamentare da disciplinarsi, tuttavia, con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo”. Questo era il famoso ordine del giorno Perassi, approvato il 4 settembre 1946 dalla seconda sottocommissione della Commissione per la costituzione dell’Assemblea costituente. Egidio Tosato, un altro costituente, in un libro scritto nel 1947 sul capo dello Stato, sottolineava la necessità di adottare la forma di governo parlamentare, ma di adottarla “con quei dispositivi costituzionali che valgano ad ovviare ai più gravi inconvenienti che essa presenta”. Quindi, i costituenti più avveduti avevano ben chiari degenerazioni e inconvenienti propri del parlamentarismo. Tuttavia, non li corressero.
Presidenzialista. Il sistema parlamentare è riuscito a reggere, nonostante i molti inconvenienti, per un cinquantennio perché vi erano condizioni favorevoli. Vi è stato un partito cerniera, il partito della Democrazia cristiana, che ha assicurato la continuità dell’indirizzo generale del paese pur nella discontinuità dei governi. In secondo luogo, vi è stato un assetto stabile e relativamente semplice, con tre partiti maggiori e quattro o cinque partiti minori. In terzo luogo, vi è stato un mondo più diviso, che aveva meno bisogno di un paese che si esprimesse con una voce sola, al vertice. Infine, vi erano minori attese della collettività rispetto ai governi. Queste condizioni ora non si realizzano più. Non c’è un partito di maggioranza relativa. Il sistema politico è molto frammentato e i frammenti sono, all’interno, divisi. Il mondo ha molti più “condomini” nei quali l’Italia deve esprimersi con una voce sola. Sono maturate molte altre attese della popolazione rispetto ai governi.
Parlamentarista. Ma anche il presidenzialismo presenta degenerazioni e inconvenienti, spesso finendo in cesarismo, bonapartismo, peronismo. La democrazia, con il presidenzialismo, fa un passo indietro. Se la democrazia è stata caratterizzata, fin dall’inizio, dal rifiuto del monarca, il presidenzialismo opta per un monarca eletto, con i poteri di un re, salvo durata, inviolabilità e irresponsabilità, come osservò una volta Alexis de Tocqueville. La storia della democrazia è dominata dal bisogno di dividere, separare, contrapporre, non solo le funzioni, ma anche i poteri. Il presidenzialismo va nella direzione opposta.
Presidenzialista. Dissento. Il presidenzialismo nasce con l’intento di dividere, non con quello di concentrare il potere. Negli Stati Uniti d’America, l’esempio maggiore tra i tanti presidenzialismi, il popolo si esprime due volte, quando sceglie il presidente e quando sceglie i membri delle assemblee parlamentari. In questo modo, dà due legittimazioni. Spesso queste due legittimazioni sono divergenti. Nella democrazia americana, in questi casi, si parla di “divided government” e nell’esperienza francese di “cohabitation”. Negli Stati Uniti d’America, da circa cinquant’anni, il popolo ha scelto in maniera diversa nell’uno e nell’altro caso, mandando alla Presidenza un democratico e conferendo la maggioranza dei seggi parlamentari a repubblicani, o viceversa.
Parlamentarista. Ma la presidenza americana è andata crescendo nel tempo in termini di potere, tanto che già nel 1973 lo storico Arthur M. Schlesinger jr. parlava di una presidenza “imperiale”.
Presidenzialista. Ma i presidenzialismi ben funzionanti hanno sempre introdotto strumenti di equilibrio. Negli Stati Uniti, le nomine presidenziali più importanti richiedono l’accordo del Senato e i membri dei due rami del Parlamento chiamati a svolgere attività all’interno del potere esecutivo debbono abbandonare le loro cariche parlamentari. Uno degli strumenti che rendono più prudente e mite il presidenzialismo è quello della diversità di durata nelle cariche che consente una rotazione e permette scelte che si vanno sovrapponendo nel tempo.
Parlamentarista. Il politologo francese Raymond Aron, scrivendo nell’agosto 1943, dall’esilio inglese, su “France libre” sul presidenzialismo, parlò de “l’ombre de Bonaparte”, che grava sull’esperienza presidenziale. Costantino Mortati, uno dei costituenti, nelle sue “Istituzioni di diritto pubblico”, di pochi anni successive alla Costituzione, scrisse, a proposito del presidenzialismo, di una sua “fatale degenerazione in regime autoritario personalistico”; aggiunse: “l’esempio della costituzione tedesca di Weimar, in cui il sistema adottato di elezione popolare del presidente dette luogo ad un’alterazione dell’equilibrio dei poteri, ed infine all’eliminazione dello stesso regime parlamentare, mostra la fondatezza del pericolo enunciato”.
Presidenzialista. Ma è possibile che il potere esecutivo non abbia stabilità? Continuiamo, per stanchezza intellettuale, a chiamare potere esecutivo quello che è il centro motore dello Stato. Non è possibile che il centro motore dello Stato stia “come d’inverno sugli alberi le foglie”. E’ quello che ha maggiore bisogno di continuità. Gli altri organi costituzionali hanno una durata: i giudici costituzionali durano in carica nove anni, il presidente della Repubblica sette, i membri del Parlamento cinque. Solo il governo non ha né una durata massima, né una durata minima. Se il corpo politico è frammentato e diviso, come in Italia, non cambiano continuamente soltanto i governi, ma cambiano anche gli indirizzi politici. Nella diciottesima legislatura repubblicana, quella cominciata nel 2018, abbiamo finora, in quattro anni, sperimentato tre diversi governi con tre diverse maggioranze e, quindi, con tre diversi indirizzi politici. Tutto questo attira le critiche di tutto il mondo. Basta ricordare quello che scrisse Prodi, raccontando la sua esperienza come presidente del Consiglio dei ministri quando, accompagnando alla porta il cancelliere Helmut Kohl, questo lo salutò, commentando: “Conversazione molto interessante; ma chi sarà il prossimo?”
Parlamentarista. Questa discontinuità degli indirizzi politici non può essere imputata al Parlamento, bensì all’elettorato, che non solo non sceglie una maggioranza, ma frammenta a tal punto le sue opzioni da produrre un quadro politico nel quale quattro forze politiche oscillano tra il 15 e il 20 per cento ed altre sei tra l’otto e il 2 per cento.
Presidenzialista. Le ragioni del presidenzialismo sono più forti dei timori che esso suscita. Con il presidenzialismo si trasferisce dal Parlamento al popolo la scelta, ogni cinque o sette anni, dell’indirizzo politico; così si vincola, totalmente o parzialmente, a seconda del tipo di presidenzialismo prescelto, il Parlamento. In secondo luogo, in questo modo si stabilizzano i governi e si assicura governabilità e continuità all’esecutivo del paese, evitando la successione di 67 governi in 73 anni, come accaduto in Italia, consolidando l’indirizzo politico per cinque o sette anni ed evitando che la politica consista più nel fare e disfare i governi che nel governare. In terzo luogo, il presidenzialismo serve ad assicurare l’unità interna al paese diviso in 8.000 comuni e 20 regioni, riducendo la asimmetria tra regioni e comuni, che hanno regimi presidenziali, e Stato centrale, che ha un assetto parlamentare e completando il disegno che era stato avviato negli anni ’90. Infine, il presidenzialismo serve a far parlare l’Italia con una voce sola ed autorevole in un mondo multipolare con molti organismi internazionali.
Parlamentarista. I sostenitori del presidenzialismo pensano che esso sia risolutivo. Non si rendono conto della circostanza che la qualità del presidenzialismo dipende anche dalla qualità della classe politica e del presidente prescelto ed è legata anche alla cultura organizzativa diffusa, perché non basta dare una “testa” stabile allo Stato, se questa è innestata su un corpo debole. Inoltre, il presidenzialismo tende ad accentuare la polarizzazione, come dimostrato dalla presidenza Trump e da quella Macron, e quindi produce effetti negativi anche nella società.
Presidenzialista. Preoccupazioni giuste. Ma non tengono conto di un’altra circostanza: se non si comincia con il rafforzare l’esecutivo, così assicurando una riserva di competenza, che può esserci soltanto nell’esecutivo, non c’è sicura capacità gestionale all’interno dello Stato e quindi è difficile garantire quella continuità di indirizzo politico che è necessaria, anche per ottenere la fiducia degli altri paesi. Quanto alla polarizzazione, questa non dipende dal presidenzialismo, ma dalla persone dei presidenti e dalle circostanze storiche.
Parlamentarista. Non sarebbe possibile realizzare un presidenzialismo a Costituzione invariata? La Democrazia cristiana non ha mai inviato un suo leader alla presidenza della Repubblica, salvo il caso di Antonio Segni, perché era consapevole del potere che il “continuum” maggioranza popolare - maggioranza parlamentare - governo - presidente della Repubblica avrebbe portato nelle mani di quest’ultimo. Quindi, un sistema parlamentare può essere sufficientemente coeso da dare luogo a un vertice robusto. Questo corrisponde a quello che scriveva Mario Bracci a Giovanni Gronchi, allora presidente della Repubblica, il 15 dicembre 1958, quando gli consigliava di “spostare il regime… verso quel tipo originale di Repubblica presidenziale che è reso possibile dalla lettera e dallo spirito della Costituzione”. Insomma, prima di adottare una formula presidenziale, forse le forze politiche dovrebbero fare il tentativo di assicurare maggiore continuità agli indirizzi politici e, quindi, anche alla vita dei governi.
Presidenzialista. Questa osservazione ripropone l’annoso tema: viene prima l’uovo o la gallina? Se le forze politiche non sono riuscite ad assicurare esse stesse, nel quadro parlamentare, continuità agli indirizzi politici e competenza all’interno del potere esecutivo, bisogna cercare di rimediare con una modificazione istituzionale, quella che può derivare dal presidenzialismo. Aggiungo che abbiamo finora parlato di presidenzialismo, ma dovremmo fare riferimento alla grande varietà di presidenzialismi che vi sono al mondo, considerando anche le sue varianti sem-presidenziali. In particolare, quest’ultima formula, che si deve al giurista e politologo francese Maurice Duverger, indica un sistema nel quale il governo ha ambedue le investiture, quella parlamentare e quella presidenziale. Quindi, un ruolo rilevante del Parlamento, specialmente da quando dal settennato si è passati al quinquennato presidenziale.