Diavoli nel racconto della tentazione di Sant'Antonio (©The British Library) 

Dal Covid alla guerra, alla radice psicologica del travaso di ansie (e follie). Parla Massimo Ammaniti

Marianna Rizzini

Il grande psicoanalista sul tema della "credenza" alla base dei vari negazionismi 

La paura che va, viene e si trasferisce da un oggetto all’altro, portandosi dietro tutto il suo carico di ansia, ma anche di complottismi: succede ora – o almeno è quello che rileviamo a livello empirico – di fronte alla guerra, con una sorta di travaso di angoscia ed elucubrazioni da quello che era l’argomento catalizzatore delle stesse fino a poco tempo fa, la pandemia. Ma quale meccanismo  guida questo “movimento” interiore e collettivo? “E’ vero che rispetto al periodo della grande bouffe pandemica, grazie al calo dei contagi e alle progressive aperture, lo spazio dedicato al Covid sui media è stato ridotto, con conseguente assottigliamento dell’interesse morboso da parte del pubblico”, dice Massimo Ammaniti, psicoanalista, neuropsichiatra e professore onorario di Psicopatologia dello Sviluppo alla Sapienza: “Ma è anche vero che la guerra ora è diventata il tema delle grandi discussioni e della polarizzazione di opinioni, con una certa continuità con quello che accadeva con i no-vax, sebbene con sfumature diverse”. Si notano anche in questo caso tre posizioni, dice Ammaniti: “I favorevoli all’invio di armi all’Ucraina in nome del principio di autodeterminazione; i ‘né-né’; e poi quelli che dicono che sono tutte montature e che Vladimir Putin è un personaggio da apprezzare, se non da idolatrare. E si nota che una parte della popolazione, più che cercare di ragionare sui dati e sulle evidenze, preferisca altre strade. Non si va cioè verso un pensiero ipotetico-deduttivo, senza pregiudizi – un ragionare laico che permetta anche di rivedere le proprie posizioni – ma verso un pensiero fideistico, magari perché c’è un’autorità o qualcuno investito di autorità che l’ha detto”.

 

Spesso però l’autorità arriva, colmo dei colmi, dall’indistinto superficiale e arbitrario dei social-network. “C’è qualcosa di infantile in questo meccanismo, e c’è alla base un pensiero di tipo egocentrico: quello che succede è quello che penso io che poi cerco conferma da parte di altri che ho investito io di autorità perché dicono quello che voglio sentirmi dire, in un circolo vizioso. Però è vero che questo tipo di ragionamento è facilitato dalla complessità dei problemi che abbiamo di fronte. Lo abbiamo visto con i no-vax quando dicevano che il Covid era un’influenza qualsiasi. Vista la complessità, invece di fare ipotesi e scartarle e procedere con metodo scientifico, e invece di riconoscere validità allo stesso, ci si rifugia nella facilità permessa dalle risposte fideistiche. Quello che colpisce è che sono così radicate, queste risposte fideistiche, che diventano difficili da smontare. Sono convinzioni assolute, ci muoviamo nel campo della credenza”.

 

Non solo, dice Ammaniti: “La credenza si ammanta di sospetti, di diffidenza, di vaghe idee di congiure nascoste, con piani sconosciuti di multinazionali planetarie. Questo ha a che fare con una caratteristica umana: l’uomo, a differenza degli altri animali, ha la capacità, legata alle caratteristiche della neocorteccia cerebrale, di fare congetture e di interrogarsi. E quando cominciamo a interrogarci, se riusciamo a mantenere un approccio di ricerca, di dubbio, e a muoverci su un piano di realtà, allora restiamo nel campo del pensiero laico. Ma se la ruminazione cerebrale e l’ossessione di trovare risposte rapide non trova certezza e sente che qualcosa sfugge, allora può dirigersi verso la diffidenza, a tratti paranoide, e verso la rabbia o il risentimento di chi si sente impotente di fronte alla complessità del reale. Ecco, questo meccanismo si sta trasferendo dal Covid alla lettura della guerra”.

 

Sembra quasi un rituale per rassicurarsi. “E’ come se si verificasse un salto di comprensibilità: quel che è difficile da capire non può che avere un retroterra negativo, è il pensiero di queste persone. E allora si va alla ricerca di un qualcosa che per forza deve essere dietro a tutto. E’ un pensiero di tipo paranoide, ma non è psicopatologia. Si tratta invece di una modalità speculativa che può portare a queste supposizioni, come se si vedesse dietro a tutto un grande manovratore orwelliano, pronto a imporre la dittatura. E il problema è che è molto difficile entrare nel mondo di chi la pensa così e crede di aver scoperto quello a cui gli altri non sono arrivati. In fondo è anche un’ingenuità di chi non si rende conto della complessità e allora distorce la realtà, con una sorta di piacere iniziatico”. A volta sembra di avere di fronte una setta. “All’origine di molte sette si trova un principio di onnipotenza, mentre il pensiero scientifico è anche probabilistico. Nella setta ci si sente onnipotenti, al sicuro, protetti dalla complicità nel gruppo”. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.