Draghi sceglie la discontinuità per Fincantieri, con uno sguardo a Leonardo
Il metodo di Palazzo Chigi irrita i partiti e archivia il ventennio di Bono. La scelta di Folgiero segna la volontà del "business first", e rafforza le quotazioni della grande fusione nel campo della Difesa. A dettare la linea diplomatica dal colosso navale arriva il generale Graziano, che con la Belloni quirinabile ha sfiorato la nomina di consigliere militare del Colle
Le segreterie dei partiti, quasi tutte, ci vedono l’ennesimo sfregio del banchiere alle ragioni della politica, e stavolta perfino con una punta di perfidia in più: come se ridefinire i vertici di Fincantieri sia servito a Mario Draghi per regolare i conti con chi ha sabotato le sue ambizioni quirinalizie. A Palazzo Chigi, più banalmente, adducono ragioni di mercato, l’esigenza di segnare una svolta nella dirigenza di una grande controllata pubblica e magari rafforzare le convinzioni di chi predica da tempo la bontà dell’ipotesi della Grande Fusione, quella con Leonardo, per creare un campione europeo, proprio mentre tanto si discute di Difesa comunitaria. Il che spiega perché, a un manager stimato dai collaboratori del premier, Pierroberto Folgiero, si sia voluto affiancare un generale di prestigio continentale come Claudio Graziano.
Di certo, il metodo Draghi stavolta s’è mostrato in purezza, per così dire. Nel senso che un po’ tutte le formule prospettate dai partiti di maggioranza ruotavano sostanzialmente intorno alla riconferma dell’eterno Giuseppe Bono, che dopo vent’anni da amministratore delegato considerava cosa fatta il suo trasferimento nel ruolo di presidente, forte di un’esperienza con pochi eguali. E allora ritornavano i soliti nomi: quello dell’interno Fabio Gallia e quello del “rieccolo” Fabrizio Palermo, convinto di aver saputo rafforzare la sua ascendenza grillina con contrafforti piazzati un po’ ovunque, sponde nel mondo del Pd ma anche in quello leghista, come dimostra la sua recente visita di cortesia da Giancarlo Giorgetti, dieci giorni fa. Lorenzo Guerini, invece, la sua partita aveva provato a giocarla in favore di Lorenzo Mariani, stimato manager al vertice di Mbda, il colosso missilistico che proviene dal vivaio di Leonardo.
E però Draghi, che per la gestione del dossier s’è affidato al suo consigliere Francesco Giavazzi, d’intesa col dg del Tesoro Alessandro Rivera e con l’ad di Cdp Dario Scannapieco, ha optato per la discontinuità. E del resto a far precipitare le quotazioni di Bono c’è stato il suo perdurante interventismo in una logica di bizzarra concorrenza fratricida nei confronti di Leonardo, laddove l’orientamento condiviso tra il Colle e Palazzo Chigi va in senso opposto, verso cioè quella possibile fusione tra le due aziende che giustifica la scelta di un manager puro. Individuato poi nella figura di Folgiero, cinquantenne romano ma milanese per formazione e estraneità al sottobosco capitolino delle partecipate, scuola Luiss, che ha dato buona prova delle sue competenze alla guida di Maire Tecnimont, colosso dell’impiantistica con esposizione sui principali mercati globali. E’ lui il nuovo ad. Business first, insomma.
E si spiega così, allora, anche la scelta di un presidente che invece il mondo della Difesa, i delicati fili della diplomazia e dell’intelligence su cui si muovono le commesse della cantieristica navale e militare le conosce bene. Del resto, che Graziano fosse in odore di promozione, in vista della scadenza del suo mandato alla guida del Comitato militare dell’Ue, lo si era capito da tempo. Era parso chiaro anche durante le ore più tribolate della sfida quirinalizia, a gennaio, se è vero che quando si profilò l’apoteosi di Elisabetta Belloni, a cui lui fu tra i primi a farle gli auguri per un’elezione che pareva cosa fatta, sembrava scontato che il consigliere militare del nuovo capo dello stato sarebbe stato lui.