svolta dem
Da Zingaretti a Letta, il Pd ritrova la sua identità anti populista
Atlantismo, liberal democrazia e ora lotta alla politica del No. Il nuovo segretario sta ridisegnando il partito e la sua offerta politica mettendo anche in conto una rottura con il populismo di Conte
Alla fine si dovrà ammettere che ha coraggio. Difatti, nel partito in cui i segretari spesso aleggiano (o galleggiano), tra saponette e “ma anche”, insomma dopo Nicola Zingaretti che attraversava la strada con piedi di felpa, rimanendo a fil di terreno (un fosforo nomade d’occhi, un volatile zig zag e un encomio solenne a Giuseppe Conte “punto di riferimento fortissimo dei progressisti”), ecco che Enrico Letta sta invece ridisegnando il Pd e la sua offerta politica mettendo anche in conto una rottura con il populismo grillino. Dopo aver infatti riscattato l’onore della sinistra tutta, condannando il né-né putinista, ecco che il segretario del Pd ieri è arrivato in soccorso del sindaco di Roma Roberto Gualtieri sostenendolo nell’impresa non da poco – nel paese dell’immobilismo – di voler costruire un termovalorizzatore nella capitale affogata dalla monnezza.
E vale qui forse la pena di ricordare la palude decisionale che, complici tutte le amministrazioni regionali e comunali, comprese quelle del Pd e del M5s, a Roma è costata cumuli di spazzatura e miliardi di euro. Come raccontano Gianluca De Rosa e Maria Carla Sicilia, i romani pagano circa 670 milioni di euro all’anno di Tari, tassa sui rifiuti: 350 milioni di euro se ne vanno in costi per il personale mentre ben 200 milioni se ne vanno per allontanare i rifiuti e portarli in impianti che esistono in quasi tutta Italia e che invece Roma ha deciso di non avere. Gualtieri adesso l’inceneritore lo vuole fare. Ma il sindaco si trova già contro i grillini, quelli del No a tutto, dalla Tav, ai gasdotti fino alle trivelle, e ovviamente si trova contro anche un pezzo della sua stessa sinistra. Quella che con il M5s va a braccetto come dimostra la guerra in Ucraina.
Ma l’aspetto che ci interessa qui soprattutto sottolineare è che Gualtieri trova invece al suo fianco il segretario del partito, Letta appunto, che ieri mattina ha commentato così l’annuncio del termovalorizzatore: “Condivido e apprezzo la decisione di Gualtieri di dare una svolta alla politica dei rifiuti a Roma attraverso una strategia di valorizzazione energetica strutturale. L’obiettivo è finalmente quello di risolvere una volta per tutte il problema. Avanti”. C’è una questione tecnica, per così dire. E poi c’è una questione politica. Quella tecnica è presto detta: nel mondo moderno, più spazzatura produci e più pulito sei perché lo scarto non è degrado ma risorsa proprio grazie ai termovalorizzatori. Vale per Roma e vale per Brescia, dove da circa vent’anni producono elettricità dalla spazzatura come in tutti i paesi avanzati del mondo.
Ma c’è anche una questione politica molto importante, si diceva. Letta ha deciso di sfidare la politica del No, che è il riflesso condizionato di una parte della sinistra, dell’ambientalismo cialtrone e ovviamente anche del cialtronismo in purezza (ovvero del Movimento cinque stelle): difesa dello status quo, paura dello sviluppo, demonizzazione della scienza, immobilismo come unica via alla legalità. E il segretario ha accompagnato questa svolta, che mette a rischio alleanze fino a ieri in apparenza solide e lascia chissà intravedere esiti proporzionalisti, con una precisa scelta di campo sull’Ucraina, sull’invio di armi al paese aggredito, sulla condanna di Putin... tutte cose che in questo ultimo mese hanno consentito al Pd di rilanciare e recuperare la sua identità assai appannata. Tutto ciò proprio mentre Giuseppe Conte, il leader dei No, ormai in fase moscovita, si scopre invece all’improvviso pacifista e si abbandona a oscure contorsioni semantiche di segno ben poco democratico-liberale parlando di “vetero-atlantismo di stampo fideistico” a proposito della necessità di difendersi dalla Russia.
E insomma l’uomo dall’apparenza cauta, Letta, il segretario che aveva ereditato l’alleanza con i grillini e aveva dunque elaborato il “campo largo”, sta dimostrando di non avere alcuna intenzione di vivacchiare né di rifuggire dall’attrito. Che in politica, si sa, è sinonimo di azione. Ma pure di rischio (come non accorgersi del rumoroso silenzio della sinistra di Andrea Orlando?). Letta si muove come se avesse già archiviato non soltanto l’alleanza con Conte, e dunque il sistema maggioritario delle coalizioni, ma come se sentisse il dovere dopo le ubriacature populiste iniziate nel 2018 di restituire all’Italia, in via di normalizzazione (o in fase di post sbornia), anche un partito normale. Non in coma etilico. D’altra parte l’avversario non sarà più il vitellone del Papeete, ma Giorgia Meloni. Se forse torna la politica, allora forse serve anche un’identità.