Le polemiche attorno all'Anpi
La parola Resistenza vale anche per l'Ucraina, dice l'Associazione nazionale partigiani cristiani
Il caso Pagliarulo e il senso della Liberazione. Parla la presidente Mariapia Garavaglia
Il 25 aprile si avvicina e Mariapia Garavaglia, presidente dell’Associazione nazionale partigiani cristiani, giornalista, già Sottosegretario alla Sanità tra la fine degli Anni Ottanta e gli anni Novanta, ex vicesindaco di Roma, spiega che cosa significhi per lei “attualità della Resistenza”, viste le polemiche nate attorno alle parole di Gianfranco Pagliarulo, presidente Anpi, critico sull’invio di armi per la resistenza ucraina e in passato autore di dichiarazioni considerate ambigue su coloro che sono oggi gli aggrediti. “Mi sembra che si usi troppo poco il termine ‘liberazione’”, dice Mariapia Garavaglia: “Il 25 aprile è una data di tutti gli italiani. E se è vero che l’Anpi ha sempre avuto una collocazione a sinistra, è anche vero che se si opera come un partito politico e ideologico non soltanto non si rappresentano i partigiani ma si allontano gli altri – che pure li rappresentano. Il 25 aprile è, ripeto, una data fondativa, alla base del processo che ha portato alla nostra Costituzione. Dunque la festa della Liberazione è una festa di tutti, per celebrare la riconquista della libertà di parola e di pensiero dopo la dittatura. A questa data si legano il 2 giugno, festa della Repubblica, e il 27 dicembre, data della promulgazione della Costituzione. Da allora viviamo in una repubblica democratica, la cui nascita scaturisce direttamente dalla Resistenza. Non per niente nella Costituente sedevano uomini e donne ex partigiani”.
Per l’Ucraina c’è chi però non vuole usare la parola “resistenza”. “Impossessarsi della Resistenza come fosse monopolio è un errore”, dice Garavaglia. “L’attualità della Resistenza sta nella costruzione della democrazia europea, e oggi l’Ucraina sta combattendo per la libertà, l’autonomia e l’autodeterminazione, proprio come è accaduto in Italia durante la Seconda guerra mondiale”.
Una parte del mondo cattolico sembra titubante di fronte all’invio di armi. “Come fa un cristiano, mi chiedo”, dice Garavaglia, “pur con il dolore nel cuore, a limitarsi alla solidarietà e a non porsi il problema di dover aiutare gli ucraini anche militarmente? Ricordiamoci che a fianco a noi hanno combattuto gli alleati, e che ora stiamo aiutando con le armi gli ucraini che altrimenti rischierebbero di essere totalmente sopraffatti, e lo stiamo facendo anche per l’Europa e per il mondo intero. Possiamo permettere che una potenza invada un altro paese e se ne appropri? Possiamo lasciar correre di fronte a quello che sarebbe un pericolosissimo precedente? Vogliamo che la stessa cosa che sta accadendo ora all’Ucraina si ripeta? Non a caso paesi tradizionalmente neutrali come la Svezia e la Finlandia stanno valutando l’ipotesi di doversi difendere. E allora un cristiano non può che sostenere l’Ucraina, in nome della nostra storia”.
Molti pensavano che non ci sarebbe più stato bisogno di intervenire militarmente. “Forse i settant’anni e oltre di pace ci hanno fatti addormentare, invece bisogna sempre vigilare sulle nostre conquiste in tema di libertà. Era come se non volessimo crederci. Ma non so se un’offensiva diplomatica sarebbe riuscita a scongiurare il peggio. Per questo dico: non possiamo permettere che qualcuno decida di annettere un paese e lo faccia indisturbato. Vorrebbe dire che il nostro percorso verso la democrazia è stato inutile”.