Addio ad Assunta Almirante, sovrana indiscussa della dolente metà d'Italia: quella dei vinti
La vedova del leader dell'Msi esce di scena centenaria. L'unico urto di vita che ha assecondato è il suo infallibile istinto: quello che le fa indovinare l'uomo giusto
In una fotografia dove non sono ancora insieme ma si piacciono – e si desiderano altroché – Giorgio Almirante ha le orecchie rosse mentre lei, Donna Assunta, facendosi schermo con l’azzurro della sigaretta, lo scruta.
Lo soppesa – prende le misure, calcola il salto sociale – e ne dispone già la carriera e il successo. Lui ha il colletto della camicia liso, la giacca di un tristo pellegrino, la suola delle scarpe ormai ridotte a un velo appena.
E lui ha le orecchie rosse perché lo vede che lei da quella nuvola di Muratti lancia frenetici segnali sensoriali.
Lei se lo studia e su quegli occhi azzurri di lui, due fanali da scavalcamontagne, Donna Assunta che ha già deciso di prenderselo – “ma chissà, poi, si saranno già coricati” pare di sentire chi ha fatto quella foto – comincia ad architettare l’italianissimo romanzo del Doppiopetto. Sono seduti al tavolo di un caffè davanti a un albergo di Viareggio. E’ pieno giorno. Con loro c’è un’altra coppia – un uomo e una donna, elegantissimi – entrambi sorridenti con gli occhiali da sole.
Il signore con l’aria di quello che offre indossa un magnifico soprabito ed è comunque Arturo Michelini – il segretario nazionale del Movimento sociale italiano – Almirante accomodato di fronte, probabilmente convocato in ragione di un confronto congressuale, è il suo socialistissimo avversario all’interno della Fiamma. Anche le signore occupano il posto l’una di fronte all’altra, bevono la Tassoni, lo scatto racconta una pausa da un convegno ma Donna Assunta che è il senso stesso del comando – in un canovaccio tutto gestuale, ipnotico – si prende la scena. E si prende quel che è suo, a partire da Giorgio che comunque è maritato, per farne strumento della sua specialissima idea di vita. Del suo già sfolgorante regno fatto di feudi rurali in quel di Catanzaro, di proprietà messe a buon frutto e di abbondante liquidità padronale ne fa tesoro da destinare interamente al carisma, all’affermazione e all’oratoria limpida di quell’uomo di cui lei da quell’istante in poi – proprio quella fotografia – decide tutto.
Anche lei è sposata ma non significa. Una cosa è il matrimonio, ben altro è l’amore. L’unico urto di vita che Donna Assunta asseconda è il suo infallibile istinto – la praticità del suo fiuto – quello che le fa indovinare l’uomo giusto cui da presto impartisce lezioni di bello aspetto: calze lunghe acquistate da Schostal, in via del Corso – a Roma – quindi cappello Borsalino, abiti di buon taglio e scarpe, tante ottime calzature che per l’uomo smunto dalla barba lunga arrivato in ogni angolo d’Italia col tricolore degli sconfitti è proprio un contrappasso.
Non è uno di quei monumenti del passato con cui fare i conti, storicizzandolo, Donna Assunta. Nata Stramandinoli, all’anagrafe Raffaella, ex moglie di Federico – marchese de’ Medici – nonché vedova di Giorgio Almirante, leader storico della Destra nazionale, Donna Assunta è innanzitutto se stessa. Esce di scena centenaria e porta con sé, nell’immagine sua di incredibili diamanti, cappotti Balenciaga e lussuose borse – le stesse con cui, a modo di sfollagente, teneva a bada la strisciante guerra civile eterna degli italiani – quel che i lettori del vecchio Foglio ricordano dalle paginate a lei dedicate da Stefano nostro, il comunista abruzzese Stefano Di Michele, nella devota definizione: “L’Imperatrice Madre”. La sovrana indiscussa della dolente metà d’Italia, quella dei vinti.