Convergere, liberare, proteggere. La lezione di Macron all'Italia
La vittoria del presidente uscente in Francia ci indica la strada per lasciare da parte i settarismi e trovare una nuova promettente convergenza attorno al governo Draghi. Contro il ditino alzato
Convergere. Senza esclusivismi né esclusioni. Senza boria di partito o di gruppo. Convergere per proteggere e per liberalizzare. Come è successo in Francia per Macron. Convergere per fare sbarramento. Senza retoriche. Tenendo conto dell’esperienza guida, il governo Draghi. Preparare da subito la concentrazione delle forze politiche di centrosinistra, mettere l’urgenza al servizio di una posizione europea, atlantica, occidentale. No sbandieramenti. Basta ragionare, vedere con la testa e con il sentimento ciò che accade, opporsi, fare resistenza. Con tutti i mezzi leciti di un’alleanza per la libertà, nell’orizzonte di una pace che suoni umiliazione razionale per chi ha scelto la strada della guerra in Europa. Non c’è altro né di meglio da fare che questo, in vista di un’estate che si annuncia complicata, di un autunno e di un inverno esposti ai venti del caro energetico, dell’inflazione, della penuria e della recessione addirittura. Persone, gruppi sociali, imprese, comunità, giovani, donne, intellettuali che hanno rifiutato di portare il cervello all’ammasso dei progetti di carestia europea del Cremlino, con un occhio al patrimonio cattolico, liberale, socialista e democratico che ha radici nel paese nonostante la vampata populista in esaurimento.
L’unità è un mito del passato politico e culturale. La convergenza è una tecnica, una procedura in sé promettente, un modo di stare nello stesso cerchio senza annullare le diversità, di difendersi e contrattaccare da molti punti di vista, con raccordi da punti di partenza anche discordanti ma in qualche modo intonati a obiettivi comuni. E’ stata una sciocchezza non invitare Renzi e perdere tempo con D’Alema, per un leader ordinario ma solido come Roberto Speranza. Sarebbe una sciocchezza insistere nella pregiudiziale contro i grillozzi da parte di Renzi o di Calenda. Renzi poi, che infine l’ha disfatta, e non è stato un male vista l’operazione Mattarella, era coautore dell’alleanza con loro, i grillozzi, in funzione democratica e europeista, contro il senatore Salvini e i suoi deliri da pieni poteri. Per un Di Maio con i suoi che sembra aver capito la lezione, c’è un Conte che dà segnali grotteschi di aver disimparato tutto, e un Grillo “miscio”, come dice Aldo Grasso, che si occupa avidamente della faccia in ombra di ogni stupido populismo, la comunicazione. Lì regna il caos, ma c’è un bacino di forza elettorale ancora intatto, direi indispensabile. La si può pensare diversamente, e io posso sbagliare, ovvio, ma in politica più che pensare il futuro occorre agire, prepararlo con l’arte del possibile. Un polo liberale in formazione esiste e non esiste, è una promessa che ha bisogno di una concentrazione di forze intorno a un obiettivo che non è il potere delle élite ma il governo del paese, che è se non sbaglio la posta in gioco quando si fanno le elezioni. Le visioni vabbè, come diceva Weber, chi vuole visioni vada al cinema.
Il nemico è il ditino alzato. La voglia di distinguersi e identificarsi senza il consenso necessario per sfondare, per opporsi al ritorno ai giorni terrificanti del governo del popolo e del contratto e dell’avvocato del popolo che vicepresiedeva ai suoi due vice un’èra politica fa. Tanta acqua è passata. Tutto è in una dimensione nuova, anche per merito, lo si può riconoscere, delle capacità del manovratore in capo, che però non ha un partito per sé né un’area di riferimento consistente.
Calenda ha tutto per piacere, tranne l’autarchia della competenza e delle “soluzioni” intestate a un piccolo gruppo che può crescere e moltiplicarsi ma solo in una squadra più ampia, in una rete di squadre differenti.
Nessuno vuole scavalcare i problemi, e ce ne sono dagli inceneritori alla politica estera e di stato, ma non si risolve alcun problema con esclusivismo e settarismo. E bisogna cominciare da subito a mettere gambe alle idee, altrimenti le idee muoiono di freddo, e sarà per loro, quella del 2023, una brutta primavera. Il Pd di Enrico Letta sembra pronto al ruolo di collegamento, di federazione lasca e liberale di forze diverse, c’è la virtù della mediazione che può aiutare, una equa ripartizione delle occasioni, c’è tutto anche ora che sembra mancare la volontà di procedere oltre le barriere, per costruire un argine. Uno sforzo volontaristico è l’urgenza del momento.