Ora sulle armi all'Ucraina Conte s'aggrappa all'Onu. Ma è smentito dai fatti
L'Italia segue la Nato: salto di qualità nel sostegno militare a Kyiv. Mattarella a Strasburgo confermerà la necessità di aiutare la resistanza contro Putin. Ma il M5s sogna il Costa Rica, e l'ex premier Giuseppi prova a contestare le scelte del governo. L'asse Letta-Di Maio: isolarsi nell'Alleanza atlantica non si può
Essendo per una volta anche seria, oltreché grave, la situazione internazionale non lasciava spazio alle furbizie di maniera. O almeno se ne era convinto Enrico Letta, che parlando col ministro della Difesa Lorenzo Guerini s’era visto confortato nella sua posizione di fermezza contro Putin. La svolta americana, d’altronde, era nell’aria, e al dunque c’era da scommettere che anche il tentennante cancelliere tedesco Olaf Scholz si rassegnasse a seguire la linea. E del resto pure Luigi Di Maio, sempre più punto di riferimento per il Nazareno nel fronte grillino, col segretario del Pd aveva convenuto che “opporsi alle richieste della Nato significherebbe mettersi ai margini dell’Alleanza”. E perfino da Sergio Mattarella erano arrivati – e arriveranno – segnali inequivocabili. Tutto chiaro, dunque, tutto definito. Poi però Beppe Grillo e Giuseppe Conte hanno deciso che la situazione, seppure grave, poteva anche stavolta farsi poco seria.
Non è un caso, del resto, che Guerini abbia voluto attendere per emanare il nuovo decreto interministeriale con cui l’Italia disporrà il nuovo invio di armi a Kyiv. “Serve coordinamento con gli Alleati atlantici”, ha ripetuto per giorni. E così ieri, al termine di una lunga – e per certi versi storica – riunione dei rappresentanti dei 40 paesi convocati a Ramstein, in Germania, dal segretario della Difesa americano, Lloyd Austin, e svolta sotto l’egida della Nato ma in un formato assai più allargato del solito, il ministro del Pd ha confermato che “ci sarà un nuovo invio da parte italiana di equipaggiamenti militari, indispensabili per continuare il supporto alla resistenza ucraina”.
E così a Palazzo Baracchini hanno capito che si poteva procedere: già tra ieri sera e stamane il testo del provvedimento è atteso alla Farnesina e al Mef, che dovranno controfirmare un elenco assai massiccio di armamenti, un salto di qualità qualitativo e quantitativo rispetto al primo invio. Stavolta, oltre ai razzi anticarro e antiaereo, oltre a fucili e mitragliatrici, ci saranno anche mezzi blindati e cingolati, e non si esclude perfino un contributo italiano sul fronte dei droni. Una strategia che forse varrà, stando a quanto spiegato nel vertice di Ramstein, anzitutto come deterrente nei confronti di Putin. E che di certo servirà, qualora Mosca decidesse di scatenare davvero l’offensiva finale nel Donbas, per impedire alle forze russe di vincere sul terreno. Tutti dettagli, questi, che domani Guerini spiegherà di fronte al Copasir. Prima ci sarà Sergio Mattarella. Perché oggi il capo dello Stato, intervenendo a Strasburgo dinanzi all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, ribadirà la sua convinzione sulla necessità di sostenere la resistenza ucraina, e lo farà davanti a un’assise che ha da poche settimane espulso l’invasore russo.
Poi c’è il M5s. O meglio Giuseppe Conte. Intenzionato a tentare di nuovo la carta del “pacifismo tra gli incisi”. Sicché il capo del M5s ieri ha riunito il Consiglio dei grillini per poi vergare una nota ricca di punti su cui battere in tutte le ospitate tv. La parte più interessante – al di là della “netta condanna alla Russia e del sì alle sanzioni anche da incrementare” – riguarda le armi da inviare in Ucraina.
L’ex premier dice che il M5s “si oppone all’invio di aiuti bellici e di controffensive che possano travalicare le esigenze legate all’esercizio del diritto legittima difesa sancito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”. Da Palazzo Chigi non replicano. Perché hanno capito il trucchetto. Tuttavia chi parla con Draghi non può che aprire le braccia: “È chiaro che il governo non può che agire nel perimetro delle regole Onu”. Ma la comunicazione e i social si muovono con altre coordinate, e Conte lo sa. Anzi, anche Beppe Grillo ne è consapevole. Fresco di contratto con il M5s, il garante ha ospitato sul suo blog un fondamentale intervento dal titolo “La guerra non è più una scelta” (a seguire l’esempio preso dal Costa Rica nel 1948). Conte naviga fra gli equivoci e intanto prova a far chiarezza al suo interno: il filoputinista Vito Petrocelli è stato espulso dal gruppo in Senato e deferito ai probiviri per essere cacciato anche dal partito. Rimane però presidente della commissione esteri di Palazzo Madama. Questa mattina ci sarà un vertice dei capigruppo dalla presidente Casellati. Servono le dimissioni di massa per rimuoverlo. Il M5s vuole sostituirlo con Simona Nocerino.