Il racconto

"E' arrivato o' ministro". I week end napoletani di Di Maio in vista delle elezioni

Simone Canettieri

A Roma il ministro degli Esteri del M5s è sempre più distante da Conte. Poi tutti i fine settimana torna in Campania nel collegio elettorale. Vuole ricandidarsi

Si sdoppia, senza attaccare manifesti in giro. Dal lunedì al venerdì Luigi Di Maio fa il ministro degli Esteri. Ormai sembra un busto. I pantaloni con la riga, le parole con il contagiri. E’ diventato la coperta di Linus del Pd di Enrico Letta. Quanto di più distante dalla vis polemica e neo descamisada di Giuseppe Conte. Di Maio fa poca comunicazione sui social e tante missioni internazionali. Farcite da messaggi chiari. Come quelli sul tetto massimo al gas: “Una battaglia concreta”, la definisce. E subito qui i maliziosi a pensare che ce l’abbia con chi invece nel M5s porta avanti quelle fumose, di battaglie. Anche sulle armi all’Ucraina, il ministro degli Esteri si muove lontano dai radar del capo del M5s. “Il nostro faro è l’articolo 51 dell’Onu”. Frasi scontate, ma da leggere in controluce. Dal venerdì alla domenica, però, Di Maio  svuota l’agenda, nessuna dichiarazione alle agenzie di stampa. Dove si va a cacciare tutte le volte? Il 25 aprile lo ha passato ad Acerra (e con lui c’era anche il capo dello stato). Due giorni prima, il 23, stava sempre ad Acerra, ma alla palestra di boxe del Coni. Il 14 eccolo in prima fila a San Giorgio a Cremano: concerto per l’Ucraina. Il week-end precedente si era diviso fra Marcianise e Maddaloni. Prima ancora a Volla, Marano, Quagliano e, ovviamente, Pomigliano d’Arco. Di Maio pensa alle politiche e si coltiva il collegio elettorale.  “Uaglio’, è arrivato o’ ministro”.  

Inaugurazioni della Croce Rossa, il primo calcio al centro sportivo ancora fresco di vernice, le associazioni del territorio da aiutare, il centro famiglie da sostenere, il bene confiscato alla camorra da destinare a miglior vita, la festa della consapevolezza dell’autismo, la pizza con gli attivisti locali: i fine settimana Di Maio li passa così. E non finisce nemmeno sui rulli dei siti internet. Stringe mani, fa discorsetti rapidi, si presta a qualche selfie. I ragazzi che non ce l’hanno fatta (al contrario suo) lo incrociano per strada e gli urlano: “Ue’ Giggi’, t’arricuord?”.


Il ministro degli Esteri fa insomma il lavoro del vecchio “politico del territorio”. Gronchi rosa in tempi di parlamentari paracadutati e, nel caso dei grillini, anche miracolati. Il titolare della Farnesina, invece, tiene  i rapporti, fa quello che “vediamo che si può fare, parlane con la mia segreteria”. Si occupa della cucina politica locale. Il Mattino di Napoli informa che Di Maio non pensa solo ad ambasciatori e sanzioni. Il giorno della Liberazione, ad Acerra, si è intrattenuto a lungo con il governatore Vincenzo De Luca, l’ex nemico diventato ormai quasi compare. In politichese: interlocutore. Al punto che durante il colloquio i due avrebbero parlato dell’alleanza Pd-M5s nei comuni campani che a giugno andranno al voto. 
Il ministro – o’ ministro – è insomma  il vecchio-giovane ras locale che torna con la scorta, e si porta avanti con il lavoro. Pensa alle prossime politiche, cura i collegi elettorali della Campania a lui più cari. A volte si fa accompagnare da qualche deputato fedelissimo. Ed è subito festa per i giornali locali. Di Maio insomma pensa al tris, alla ricandidatura che per il momento è il grande non detto nel M5s. La mucca nel corridoio che nessun vuol vedere. Se ne riparlerà dopo le amministrative. Solo a fine giugno il capo del M5s spiegherà per filo e per segno come intenderà affrontare la faccenda del vincolo del secondo mandato. Se non cambia la legge elettorale è probabile che alla fine Conte proponga ai big arrivati all’ultimo giro di candidarsi nei collegi uninominali. Niente listino, e tanti auguri. Forse Di Maio lo ha capito e proverà a giocare d’anticipo. Ecco perché si sta facendo il giro dei bar di Pomigliano a prendersi un caffè tra la gente che lo strattona e lo saluta. La domenica sera finisce l’immersione e si torna a Roma, fra i magnifici marmi della Farnesina. Ufficio da museo. Davanti alla scrivania un enorme arazzo antico che riproduce un mappamondo. In un puntino sembra di vedere Somma Vesuviana, Sant’Anastasia, Scisciano. Insomma le politiche del 2023.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.