Con un occhio a photoshop
Dove porterà la competizione tra Meloni e Salvini? Guai e opportunità
C’è un corridore che ha scelto di muoversi e ce n’è un altro che ha scelto di non scegliere cosa fare da grande. Così la leader di Fratelli d'Italia prova a cambiare qualcosa, a mimetizzarsi e a distinguersi. Cerca di sfidare il leghista anche sul campo dei doveri e delle responsabilità. Estremismi incipriati e svolte tentate.
L’occasione della conferenza programmatica convocata da Fratelli d’Italia per tre giorni a Milano costringe molti osservatori a porsi una domanda inevitabile e complicata: che diavolo di creatura politica è, oggi, Giorgia Meloni? Per provare a rispondere a questa domanda, si può tentare di articolare un ragionamento distribuito lungo cinque direttrici.
Nella prima direttrice c’è Matteo Salvini. Nella seconda c’è l’atlantismo. Nella terza c’è l’Europa. Nella quarta c’è il mondo degli avversari. Nella quinta c’è ciò che resta dopo il photoshop. Partire da Salvini, per parlare di Meloni, può sembrare una via di fuga, ma la verità è che la grande fortuna di Meloni oggi coincide con la grande sfortuna di Salvini. In un mondo che cambia, e negli ultimi due anni il mondo è cambiato molto, Salvini ha fatto di tutto per evitare di cambiare, e anche quando il suo partito ha provato a cambiare qualcosa, Salvini ha fatto di tutto per nascondere i cambiamenti sotto il tappeto della politica. Mentre Meloni, da parte sua, ha fatto di tutto per provare a cambiare qualcosa, e in modo furbo ha provato a trasformare la crisi del salvinismo in un’opportunità per proiettare se stessa verso la corsa all’obiettivo numero uno: la premiership.
Per provare a farlo, Meloni, in questi mesi, ha tentato di portare avanti un’operazione simile a quella messa in campo in Francia da Marine Le Pen: ha passato una spessa coltre di cipria sul profilo populista del suo partito e su alcuni temi è riuscita ad apparire meno estremista rispetto al suo gemello del gol (Salvini). Lo ha fatto quando ha provato a portare Mario Draghi al Quirinale. Lo ha fatto quando ha fatto sapere di non sentirsi rappresentata al ballottaggio francese da Le Pen (ma neanche da Macron). Lo ha fatto quando ha evitato di scattarsi selfie con Viktor Orbán durante il suo ultimo passaggio a Roma. Lo ha fatto quando, spinta dalla componente polacca che anima il gruppo politico di cui Meloni è presidente in Europa (Ecr), ha dato il suo pieno sostegno alle azioni della Nato per l’Ucraina. E ha fatto tutto questo, Meloni, spinta dal desiderio di trasformare il suo partito in una sorta di catch-all party: un partito cioè capace di prendere voti in modo trasversale, in tutti i settori della società, soprattutto a destra, ma non solo lì, e indirizzato verso una lenta migrazione da partito fortemente identitario a partito potenzialmente maggioritario.
E mentre Salvini prova a presentarsi come un partito di governo, ma soprattutto di lotta, Meloni prova a presentarsi come un partito di lotta ma anche di governo, capace di dialogare con gli avversari (vedi la special relationship con Enrico Letta) e intenzionato a dimostrare che la pregiudiziale anti Meloni, dettata anche dalla vicinanza di un pezzo del suo partito a una non risolta stagione di post fascismo, non esiste più. In un mondo che cambia, Meloni cerca dunque di cambiare qualcosa, cerca di mimetizzarsi, cerca di distinguersi, cerca di sfidare Salvini anche sul campo dei doveri e delle responsabilità. E lo fa provando a far dimenticare: (a) la bassa qualità della sua classe dirigente, (b) le posizioni irresponsabili assunte per lungo tempo sui vaccini, (c) le posizioni a un passo dalla xenofobia assunte per molto tempo sull’immigrazione, (d) e tutte le volte che il suo partito ha cavalcato la grammatica anticasta, specie dopo il bis di Sergio Mattarella, trasformandosi in qualcosa di simile a un movimento 5 Meloni.
Provare a capire oggi, fino in fondo, che diavolo di creatura politica sia Meloni non è semplice. Più semplice forse è capire che nella competizione tra Meloni e Salvini c’è un corridore che ha scelto di muoversi e ce n’è un altro che ha scelto di non scegliere cosa fare da grande. Il secondo prima o poi sceglierà. E non è detto che quando deciderà che cosa fare sia spinto a sfidare il suo avversario interno su quello che è il terreno più difficile da governare per la destra mondiale: saper mettere insieme senza contraddizioni e libertà, sicurezza e responsabilità. Buona sfida. E occhio al trucco.