Tra Kyiv e Washington.
“Per contare di più nella Nato servono Ue e serietà”. Parla Pinotti
“Così l’Europa può contare di più nell'Alleanza atlantica. Strano che ad accusarci di subalternità all’America sia chi negli ultimi anni s’è speso sempre per indebolire il progetto europeo”. Intervista all'ex ministro della Difesa
Non è che non veda le storture. Sono le soluzioni proposte che le suscitano perplessità. “Perché sì, certo, è vero che negli Stati Uniti c’è un filone di pensiero che predica l’annichilimento di Putin. E sì, è vero che a mio avviso certi toni di Joe Biden e Boris Johnson sono stati eccessivi. Ma se vogliamo fare pesare di più le nostre idee, la nostra visione del mondo, i nostri interessi, dobbiamo essere coerenti nel chiedere un rafforzamento dell’Unione europea e dobbiamo essere seri nell’affrontare i temi legati alla difesa”. E invece Roberta Pinotti quella coerenza, quella serietà, a volte fatica a rinvenirle nel dibattito politico attuale. “Da un lato – dice la senatrice del Pd – c’è un processo alle intenzioni surreale. Qualcuno sembra sostenere che a non volere la pace sia Zelensky, istigato da Washington”.
“Come se fosse l’esercito ucraino ad assediare Mosca – insiste Pinotti, presidente della commissione Difesa di Palazzo Madama – come se non fosse stato Putin a invadere, a bombardare, a rigettare qualunque apertura al negoziato fatta da Kyiv sulla Crimea, sull’autonomia del Donbas e sul non ingresso nella Nato, come se non sia lo stesso Putin oggi, ora, mentre noi ci interroghiamo sulla consistenza reale delle buone intenzioni di Zelensky, a ordinare attacchi su Odessa”.
E poi c’è il tema delle armi, della spesa militare, dei distinguo che Giuseppe Conte e Matteo Salvini oppongono al loro stesso governo, chiedendogli conto della responsabilità di una possibile escalation. “E qui bisogna riportare il dibattito alla realtà delle cose. Anzitutto ricordando che l’esecutivo guidato da Mario Draghi si muove proprio nel solco definito da un provvedimento che tutte le forze parlamentari hanno votato. Se verranno disposti nuovi invii di materiale bellico, ciò avverrà, sempre in accordo con quanto approvato dalle Camere, perché evidentemente la guerra si prolunga, e rifiutarci di assistere il popolo ucraino significherebbe condannarlo alla sottomissione”. E qui Pinotti parla col conforto dell’esperienza, lei che era ministra della Difesa quando il governo italiano, a fine 2014, inviò le armi ai Peshmerga curdi. “Vado orgogliosa di aver dato, nel nostro piccolo, un sostegno a chi combatteva l’Isis che schiavizzava e uccideva migliaia di ragazze yazide”.
Siamo troppo succubi, si dice, troppo proni ai voleri americani. “E io invece posso garantire che, nel rispetto dei valori e degli obiettivi comuni della Nato, più volte l’Italia ha saputo, anche durante il mio mandato, prendere decisioni in autonomia, se gli interessi nazionali lo esigevano. Semmai, a me sorprende che ad accusare l’Europa e l’Italia di subalternità all’America sia chi negli ultimi anni s’è speso sempre per indebolire il progetto europeo, che è l’unico che può consentirci, anche sul piano della Difesa, di contare di più. E questo, di nuovo, vale anche per la spesa militare. Non è una fregola militarista a suggerirci di onorare gli impegni sul 2 per cento. E’ semmai la consapevolezza che solo rispettando gli accordi, solo assumendoci maggiore responsabilità, potremo anche far valere maggiormente le nostre istanze”.
Cosa di cui Pinotti ha trovato ennesima conferma in un suo recente viaggio diplomatico negli States. Incontri con alti rappresentanti del Senato e del Congresso, riunioni con think tank e centri di ricerca. “L’assertività americana resta, ma stavolta si percepisce anche la volontà, sia da parte politica sia da parte militare, di confrontarsi con le opinioni di noi europei”. La curiosità, poi, riguarda anche le peculiarità del nostro sistema mediatico. “Mi hanno chiesto come mai, ad esempio, la tv di stato ospiti dei professori ostili all’America che rilanciano le tesi di Putin. Ho spiegato che la Rai è una tv pubblica, ma che non è certo il governo a definire palinsesti e scalette. Resta però, certo, l’apprensione per il rischio che si moltiplichino le casse di risonanza della propaganda del Cremlino. Anche in questo, nella dimensione della guerra ibrida, l’Europa deve fare un salto in avanti. In America c’è maggiore consapevolezza di come la disinformazione sia un’arma utilizzatissima da Mosca nella sua sfida all’Occidente: ricorrere a fondi governativi non solo per finanziare le tv statali, ma anche per condizionare e, per così dire, infiltrare i media europei, per il regime russo è la norma, ormai da anni. Noi in Italia, poi, a volte facciamo da soli in modo che il Cremlino possa risparmiarsi anche questa fatica”.
E dunque, che fare? “E dunque, ben sapendo che la tutela della libertà di stampa e d’impresa è un valore delle nostre democrazie, nuovi strumenti normativi in tal senso vanno trovati. Così come la cybersicurezza e lo spazio, anche quello della guerra ibrida è una dimensione che deve vedere un salto di qualità nelle politiche e nei regolamenti dell’Ue. Anche da qui passa la nostra capacità di difenderci, di proteggere i nostri interessi strategici”.