matrimonio complicato
Tutti i tormenti di Enrico Letta alle prese con le bizze di Conte
Dall’ex Ilva, su cui il governo è stato salvato da FdI, alle armi all'Ucraina. Fino al proporzionale. Perché l'incontro di ieri tra il segretario del Pd e il presidente del M5s non ha chiarito i mille dubbi sull'alleanza
La primavera non è tenera con il segretario del Pd Enrico Letta, alle prese con l’offensiva a più fronti del M5s, alleato di governo ma non sempre di strada, tra sostegno all’Ucraina, sistema elettorale e temi ecologici legati al Pnrr. E anche se ieri Letta e Giuseppe Conte si sono visti (per due ore, all'Arel), alla fine ribadendo congiunti l’intenzione di proseguire lungo la strada del dialogo nonostante le divergenze su vari punti e la “tensione” delle ultime settimane, il fattaccio, per così dire, si è intanto manifestato nella sua pericolosità due giorni fa, durante la riunione congiunta delle Commissioni Finanza e Industria del Senato, quando, sull’ex Ilva, la maggioranza si è trovata spaccata, a notte fonda. E insomma, tra governo locale (a Taranto, in vista delle amministrative, dove Pd e M5s sono alleati sul nome del candidato sindaco Rinaldo Melucci) e governo nazionale (il sostegno a Mario Draghi sul trasferimento ad Acciaierie d’Italia delle risorse inizialmente destinate alla bonifica ambientale dell’ex Ilva), è successo che l’alleanza non ha retto.
E se i Cinque stelle si erano già detti contrari a usare i fondi per quella nuova destinazione, il Pd si era mostrato invece saldamente dalla parte del governo. Solo che nottetempo il grillino contiano Marco Turco è passato alla forzatura, presentando un emendamento sul tema. Al momento del voto, però, il Pd, o meglio Stefano Collina, che in quel frangente rappresentava il Pd, ha votato con il M5s e con Leu, con conseguente situazione paradossale: il governo che si salva per l’astensione di Fratelli d’Italia, ed Enrico Letta che resta a dir poco sorpreso (e contrariato). Contrariata anche la capogruppo pd in Senato Simona Malpezzi, a cui sembrava di essere stata chiarissima, a monte dell’accaduto. Ed è vero che Collina, a cose fatte, si era preso la responsabilità del tutto (“la scelta di votare l’emendamento proposto dai Cinque stelle sull’Ilva nasce dalla volontà di non rompere un’alleanza politica che sul territorio tarantino sostiene un candidato sindaco”, ha detto), ma è anche vero che la prospettiva, anche dopo l’incontro Conte-Letta, non è quella di una passeggiata tranquilla.
Tanto che ieri c’era chi ricordava il pranzo pre-pasquale tra i due, da cui Conte era uscito con parole che, tradotte, significavano: non siamo la succursale del Pd. E infatti le ultime settimane sono state costellate dalle divergenze sull’invio di armi all’Ucraina, su cui il M5s vuole un voto in Parlamento, con il premier che riferisca in Aula, argomento su cui la diversità di vedute resta alta (con eccezione dell’ala dimaiana dei Cinque stelle — e Draghi al ritorno dal viaggio negli Stati Uniti, comunque, il 19 maggio, sarà alla Camera per il question time). Né c’è concordia sul termovalorizzatore di Roma, voluto dal sindaco pd Roberto Gualtieri e non voluto dall’ex sindaca grillina Virginia Raggi (e da una parte della base e degli eletti m5s).
Sulla legge elettorale, poi, Letta deve procedere a passi felpati: ha detto al Corriere della Sera, qualche giorno fa, che la fase è complicata (come dire, la riforma proporzionale può attendere), anche se due terzi del Pd andrebbe in quella direzione, come d’altronde Giuseppe Conte, che ha incaricato il presidente della Commissione Affari costituzionali Giuseppe Brescia di proseguire lungo la via della riforma elettorale. Come finirà non si sa, ma nel Pd si spera che il piano locale, dove apparentemente l’alleanza Pd-M5s regge, fornisca materia per mettere il silenziatore alle questioni nazionali che agitano il sogno del campo largo lettiano.