Quelle persone perbene sedotte dall'ebbrezza del (falso) contropotere
Sacrificano il carattere alle doti intellettuali e cercano un posto tra quelli che non la bevono. Non è così strano che Colombo e Lerner scoprano solo adesso certe caratteristiche del giornale su cui scrivono da tempo
Che cosa ci dice l’irrequietudine un po’ spessa, un po’ grossolana, di campioni della classe dirigente, gente informata, di esperienza, su certi temi anche ben preparata, che ora si trovano male in un giornale che lavora per Putin e contro Draghi e Zelensky e Biden e Macron eccetera? E’ strano che Furio Colombo e Gad Lerner scoprano soltanto adesso certe caratteristiche del giornale su cui scrivono da tempo, così molti dicono. Invece, secondo me, non è così strano. E’ proprio quell’insieme di caratteristiche ad averli lusingati e sedotti nel tempo. L’ebbrezza del giornale come contropotere, la pretesa di uno status di eccezione, di critica e di solitudine politica, quando in realtà si appartiene a una temperie di opposizione di sistema apparente, fatta di semplici convenzioni demagogiche, tutti ladri, tutti mafiosi, doppio stato galera e manette, è un gioco illusionistico da sempre affascinante per chi sacrifica il carattere alle eventuali doti intellettuali e cerca un prestigioso posto nella schiera degli apoti, di quelli che non la bevono.
Se non abbiamo avuto una riforma istituzionale dignitosa, se è così difficile combattere l’ingiustizia e la violenza criminale con i metodi dello stato di diritto, se le riforme sociali e economiche sono in spaventoso ritardo, se abbiamo raggiunto livelli inimmaginabili di incompetenza e tracotanza, tanto da far rimpiangere anche gli aspetti scadenti del vecchio giro dei partiti, lo si deve a questa insidiosa tendenza delle persone perbene, gente che conosco appena, come si dice, a intrupparsi nell’accozzaglia. E’ un legame profondo e del profondo, psicologico prima che culturale o politico. E’ un bisogno: varcare i confini della disciplina di ceto, di gruppo, di affinità per mettersi su un palcoscenico dove la recita prevede sempre il contrasto all’establishment, l’assalto alla catena di comando e alle sue ipocrisie, che certo ci sono e sono tante. La figlia di Altiero Spinelli, per dire, si è ritrovata sulle frontiere ideologiche dell’Eurasia e del Cremlino, contro ogni possibile soluzione promossa dall’occidente ad arginare una logica imperiale neorussa, e questo non può che essere il frutto dell’aspetto diseducativo del teatro opinionistico e giornalistico.
Si può essere contro, per dir così, e scorretti, senza abbandonare una certa disciplina mentale e civile, senza trasformarsi in bardi dell’inciviltà. Ma non è facile, è un percorso senza i premi, le onorificenze e i benefici portati dal sentirsi fuori dal coro. Ecco. L’accozzaglia ora in crisi, perché la guerra non igienizza nulla, anzi sporca tutto, ma chiarisce inevitabilmente certe premesse, ha pucciato in questa brodaglia e con soddisfazione il suo pane e le sue idee, longanesianamente cioè italianamente, quando ha deciso per i toni dissonanti, per gli esperimenti un po’ ubriachi di un pensiero e di un giudizio svincolati dalla cultura ricevuta e diffusa. In fondo il gioco illusionistico del giornalismo che non bada troppo al peso della cultura e della storia, e travolge i fatti con disinvoltura, è fatto apposta per loro, per questi refoulées o refrattari del mondo borghese, medio, impiastricciato da un’ideologia democratica e liberale che non tiene, ai loro occhi, di fronte alla tentazione della rivolta, dell’eccezione, di cui amano fare esperienza, non per mancanza di intelligenza ma di carattere. Il carattere, cari Furio e Gad, non si scopre d’un botto, lo si ha o non li si ha, e di lì derivano le scelte che si fanno. Continuate a collaborare tranquilli.