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Conte medita l'uscita dal governo, ma i ministri M5s non lo seguirebbero
L'ex premier furioso dopo la disfatta in Senato sulla presidenza della commissione Esteri. Inutili le telefonate a Casini e Monti. Sul Dl aiuti e termovalorizzatore, nuovo round contro il Palazzo Chigi
“Ho lasciato il caricabatteria del cellulare a casa. Non pensavo di essere eletta, credevo di poter andarmene un attimo dopo il voto”. Mentre Stefania Craxi, neo presidente della commissione Esteri del Senato, cerca un sostegno per il suo cellulare impazzito, Giuseppe Conte riunisce “d’urgenza” il consiglio nazionale del M5s con la solita tentazione: staccare la spina al governo. “C’è un’altra maggioranza: Draghi ci tuteli”, dice l’ex premier. Voce grossa, e parole (quasi) definitive. Le pronuncia fuori dalla sede del partito, a due passi dalla Camera. Quattro minuti di dichiarazione per i Tg, prima di entrare in auto per andare all’ambasciata della Finlandia. Dove lo aspetta la premier Sanna Marin, appena tornata da Palazzo Chigi, il corpo diplomatico ed Enrico Letta. Davanti a un pranzo veloce – crema di topinambur, tortelloni e orata con gli asparagi – Conte mette da parte per un momento la clamorosa batosta rimediata dai suoi in Senato. Con il segretario del Pd sembrano quasi alleati, con la premier finlandese c’è familiarità che deriva da vecchi Consigli europei. Intorno al capo del M5s c’è un partito in guerra. Che si accusa a vicenda. Che deve trovare un colpevole interno. Paola Taverna si sfoga da ore come solo lei sa fare. Frasi forti. E’ finita come si sa: al posto del filoputiniano Vito Petrocelli è stata eletta, nel segreto dell’urna, Stefania Craxi: 12 voti contro i nove del grillino Ettore Licheri, già capogruppo in Senato e vittima degli errori di calcolo degli strateghi contiani.
Antefatto: giovedì notte anche dal Pd spiegano che la candidatura di Licheri, catapultato in commissione, non passerà. Questione di numeri. Lo dicono a tutti. Anche a Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento. Dal centrodestra ma anche da Italia viva e dal Misto fanno trapelare che invece Simona Nocerino, grillina vicina al ministro Luigi Di Maio, avrebbe “almeno 14 voti” al primo giro. Dunque ce la farebbe. Iniziano le telefonate vorticose. Conte tiene il punto: Licheri. La capogruppo Mariolina Castellone, che mesi aveva superato proprio Licheri nella conta interna, discute con Nocerino. Batti e ribatti. Sospetti. Il M5s chiede ai suoi cinque senatori di segnare la scheda con il solito trucchetto del cognome scritto in maniera riconoscibile. Non si fidano nemmeno fra di loro. Il Pd dice che sarà leale, ma continua a far capire che “una rosa di nomi e una donna sarebbero la soluzione ideale”. Niente, è una questione di principio. Si arriva alla mattina del voto. I numeri non ci sono. Conte, fuori tempo massimo, chiama Pier Ferdinando Casini e Mario Monti. “Mi date una mano?”.
Risposta “Ma se mancano pochi minuti al voto!”. Taverna incrocia l’ex grillino ora con i Comunisti italiani Emanuele Dessì. “Lele, almeno tu”. “Paole’, ma che si fa politica così?”. Si aggiunge al capannello Licheri, paonazzo. “Dessì, mi voti vero?”. Risposta: “Manco se mi ammazzano”. Si va così in commissione.
Al secondo voto vince Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia, figlia di Bettino, già sottosegretaria nel terzo governo Berlusconi. I microfoni sono tutti per lei: “La mia azione sarà atlantista, ma autonoma nel solco della dottrina di mio padre”. Nei corridoi del Senato, i grillini se ne dicono di tutti i colori. Certi, che non hanno in simpatia Conte e Taverna, se la ridono. Petrocelli ha già fatto intanto gli scatoloni (due più uno “fragile con bottiglie”). Intanto i senatori più vicini al capo del M5s dicono che bisogna uscire dal governo: basta, via, andiamocene. La battaglia sarà sul termovalorizzatore. In serata ancora Stefania Craxi (ha trovato il caricabatteria): “Il problema non sono io. Consiglio a Conte di parlare con il suo ministro degli Esteri”.