travagli in maggioranza
La sveglia di Draghi al partito della nostalgia incapace di imparare dai propri errori
Mai come oggi la centralità dell’Italia in Europa è legata a stretto giro con l’incoerenza dei suoi leader politici. Dalla guerra alla concorrenza
Alla fine della giornata di ieri, dopo una mattinata gustosa trascorsa in Senato ad ascoltare gli interventi di quanti hanno risposto all’informativa di Mario Draghi e dopo un pomeriggio appassionato trascorso ad ascoltare le reazioni dei partiti che hanno sofferto la decisione di Draghi di optare per il voto di fiducia sulla legge sulla concorrenza, si può dire con una certa ragionevolezza che mai come oggi la centralità dell’Italia in Europa è legata a stretto giro con l’incoerenza dei suoi leader politici.
Se il Parlamento italiano non fosse stato incoerente, se non avesse tradito il suo mandato originario populista, Mario Draghi non solo non sarebbe lì dove sta oggi ma non avrebbe potuto mettere di fronte ai senatori una serie di verità importanti come quelle elencate ieri mattina. Verità che hanno a che fare con i danni combinati negli ultimi anni dai partiti in ambito energetico (“il conflitto ha messo in luce le fragilità della politica energetica degli ultimi anni”, ha ricordato ieri Draghi). Verità che hanno a che fare con la rivendicazione di una virtù del nostro paese che qualcuno aveva tentato di spacciare per un vizio (sull’immigrazione l’Italia “è un paese ospitale: lo stiamo dimostrando e intendiamo continuare a farlo”). Verità che hanno a che fare con una tesi opposta a quella rappresentata da alcuni leader della maggioranza nei talk-show in prima serata (Draghi ieri ha detto che se oggi possiamo parlare di un tentativo di dialogo, con Putin, è grazie al fatto che l’Ucraina è riuscita a difendersi in questi mesi di guerra e su questa linea Draghi raccoglie in Parlamento consensi anche da parte dei partiti che fuori dal Parlamento dicono l’opposto).
E’ l’incoerenza il motore immobile della maggioranza e lo stesso vale non solo per i due leader indirettamente citati finora, Giuseppe Conte e Matteo Salvini, ma anche per altri leader come Enrico Letta e Giorgia Meloni.
E’ magnificamente incoerente Letta quando fa di tutto per combattere il populismo grillino, in politica estera e ultimamente anche sulla politica energetica, e quando poi rivendica il fatto di volersi alleare alle elezioni con lo stesso populismo che oggi sembra combattere. Ed è magnificamente incoerente anche Giorgia Meloni, che ieri, via Ignazio La Russa, ha riempito di affettuose pernacchie lo stesso Matteo Salvini (“Se la difesa è legittima a casa vostra perché non deve valere a casa degli ucraini? Le armi sono necessarie per cacciare l’invasore”) con cui non farà a meno di abbracciarsi nelle prossime settimane durante la campagna per le amministrative. Essere non sempre coerenti significa essere flessibili, significa essere elastici, significa provare a segnare un tratto di discontinuità verso un passato non troppo fortunato, significa sapersi adattare con velocità a un mondo che cambia (Giorgia Meloni sostiene costantemente di essere coerente, ma per fortuna non lo è neanche lei, altrimenti sarebbe ancora favorevole, come lo era pochi anni fa, all’uscita dell’Italia dall’Unione europea e dall’euro). E in questo contesto si può dire che non sia un caso che i leader maggiormente in difficoltà in questa fase siano i due che più degli altri cercano di dimostrare di essere sempre gli stessi e di essere coerenti con se stessi (non votiamo il ddl “Concorrenza”, dice la Lega, perché sui balneari dobbiamo essere coerenti con noi stessi).
La coerenza, diceva con un sorriso Giuseppe Prezzolini, spesso è la virtù degli imbecilli. Nessuno dei leader italiani è così coerente da potersi riconoscere nella descrizione di Prezzolini, ma in un Parlamento che ha fatto dell’incoerenza il suo principale anticorpo per difendersi dal virus del populismo voler essere coerenti con il proprio passato significa voler riavvolgere il nastro, voler tornare alle origini e voler dimostrare di essere incapaci di imparare dai propri errori. Più incoerenza uguale meno populismo. Il futuro della legislatura, e non solo di quella, in fondo passa anche da qui, e bene ha fatto ieri Draghi ha ricordarlo con le buone e con le cattive ai suoi compagni di viaggio.