Da Erdogan alla Casellati. Tutte le manovre di Salvini e Tajani per sabotare la Concorrenza
Le riunioni e lo scambio di messaggi tra i leader di Lega e Forza Italia per stoppare Draghi sui balneari. La faida nel Carroccio tra Gravaglia e Centinaio. Le minacce del centrodestta al governo: "Tanto l'anno prossimo vinciamo le elezioni e smantelliamo tutta la riforma".
A un certo punto è saltata fuori perfino la mozione Erdogan. “Se la Turchia pone il veto sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, perché non chiediamo a Draghi di fare altrettanto? O l’Europa ci esime dall’applicazione della Bolkestein, oppure anche noi ci mettiamo di traverso”. La proposta è arrivata davvero, tra le molte più o meno scombiccherate, ad animare la discussione dei vertici di Lega e Forza Italia. Che giovedì sera, non appena il premier suonava la fine della ricreazione – una ricreazione che dura da luglio 2021 – sulla Concorrenza, pensavano già a come mandare in fumo la trattativa. Matteo Salvini s’era già messo al telefono. Aveva chiamato il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, s’era scritto con Antonio Tajani. “Come possiamo fare?”.
“Noi dobbiamo fare così: tirarla in lungo. Se in conferenza dei capigruppo ci opponiamo, bisognerà andare alla conta in Aula per definire il nuovo calendario”. Eccola, l’agenda dei sabotatori. “E basta sfangare la prima settimana di luglio – proseguivano in coro Romeo e Maurizio Gasparri, e insieme a loro Anna Maria Bernini e Paolo Ripamonti – perché poi dal 6 al 12 abbiamo già stabilito la chiusura delle Camere per la campagna delle amministrative”.
Dunque tutto filava lineare, nei ragionamenti di questo circolo di strateghi che elucubrava e almanaccava e arzigogolava tra i commi del regolamento di Palazzo Madama per capire come impaludare una trattativa, quella sul ddl Concorrenza, che si protrae da quasi un anno. Sennonché a Palazzo Chigi, dove queste manovre apparivano fin troppo scoperte, avevano già preparato la lettera da inviare alla presidente Elisabetta Casellati, per chiedere sollecitudine e risolutezza, fin da martedì prossimo, quando la capigruppo del Senato sarà chiamata a stabilire il calendario dei lavori della commissione Industria. Ne va del raggiungimento di un obiettivo del Pnrr, e della credibilità che ne conseguirebbe di fronte a Bruxelles, e dei miliardi che di lì dovrebbero arrivare. Una ragionevolezza così evidente che perfino Massimo Garavaglia, non esattamente un tipo arrendevole, da settimane cerca di farla comprendere ai suoi compagni leghisti. E però l’oltranzismo sordo di chi si erge a paladino del bagnasciuga lo ha talmente frustrato che ieri mattina, quando dal Pd lo hanno contattato per proporgli un’eventuale mediazione, il ministro del Turismo è sbottato: “Io alzo le mani, lascio che a risolvere i problemi ora siano quelli bravi”.
A capitanarli, quelli bravi, è Gian Marco Centinaio. Che giorni fa, quando si è sentito dare dall’“urlatore” da chi, anche dentro al Carroccio, predicava la bontà del compromesso, s’è infuriato a sua volta: “Io sono solo una persona coerente”, ha detto, rivendicando la proroga delle concessioni balneari varata durante il Conte I, quando lui era ministro del Turismo e agli operatori del settore regalò un prolungamento della pacchia fino al 2033. E dell’Europa, che da dieci anni ci tiene sotto procedura d’infrazione, chi se ne frega. Salvini come al solito sta nel mezzo. E non sapendo quale sia la parte in commedia che gli conviene recitare, le prova tutte. Al punto che perfino il suo Ripamonti, senatore savonese che è tra i relatori del ddl Concorrenza, ieri si diceva “imbarazzato” per essere finito esposto davanti al fuoco di Palazzo Chigi.
Dove, peraltro, hanno deposto ogni fiducia anche nei ministri di Forza Italia come agenti del buonsenso. Perché Gelmini, Carfagna e Brunetta, per quanto leali e affidabili nei vertici di governo, finiscono puntualmente smentiti dai loro stessi gruppi parlamentari. Che seguono più che altro la strategia Gasparri. Uno che per ogni mossa di Draghi giura di avere la replica che metterebbe il premier sotto scacco. “Inseriscono un termine alle concessioni a fine 2023? Basta un emendamento al milleproroghe per andare al ’24 , e poi oltre. Hanno in mano una pistola ad acqua, si divertano pure”, sentenzia il senatore azzurro.
E insomma anche lo zelo di chi si accanisce sul merito della trattativa – l’estensione delle deroghe per le gare, il riconoscimento del valore aziendale delle imprese balneari e dei relativi indennizzi – s’affloscia di fronte all’insistenza di chi, semplicemente, non vuole nessun accordo. Il tutto in una dialettica così dissennata che non ammette più alcuna dissimulazione. “Voi forzate sui balneari ora? E noi nel 2023, quando vinciamo le elezioni, rimuoviamo la norma”, dicono gli emissari di Salvini e Tajani nei conciliaboli col sottosegretario alla Presidenza, Roberto Garofoli. Al che, verrebbe da chiedersi, perché tanto strepitare per una cosa che si è sicuri di poter rimuovere con un colpo di mano? E la risposta sta in due parole: Giorgia Meloni. La quale, al primo cedimento leghista, si lancerebbe in una requisitoria contro il loro servilismo nei confronti dei burocrati di Bruxelles. Figurarsi se Salvini può accettarlo, questo sfregio.