Il retroscena
Armi, statuto, rifiuti e comunali: ecco gli strappi di Conte. E Petrocelli è nel M5s
A giugno l'ex premier ha almeno quattro motivi per uscire dal governo. Intanto si scopre che il putiniano non è stato espulso dal partito
Beppe Grillo pensa che Giuseppe Conte – “il piacione”, come lo chiama il comico – voglia rompere con il governo e presentarsi alle prossime elezioni, magari anticipate, con un nuovo simbolo. Ecco, al Garante del Movimento non va giù questo fatto, nonostante la ritrovata armonia con l’ex premier sancita anche da un contratto (300 mila euro all’anno): il simbolo non si cambia. Anche diversi parlamentari grillini, non di rito contiano s’intende, sono abbastanza sicuri che il capo del M5s stia cercando un pretesto per uscire dalla maggioranza. “Per accompagnarci alla porta”, come la chiama l’ex ministroVincenzo Spadafora. A Palazzo Chigi si dicono tranquilli. E anche al Quirinale sembrano non suonare campanelli particolari. E però giugno sarà un mese complicato per il governo e per il futuro del M5s.
Sarà sempre il calendario, e quindi le cose che accadranno, a dettare l’agenda politica. Innanzitutto c’è un passaggio non banale in tribunale. Il sette giugno i giudici di Napoli dovrebbero esprimersi sulla legittimità dell’elezione di Conte, vicenda che si trascina a colpi di ricorsi e senza particolari entusiasmi ormai da mesi. Motivo per cui tutte le decisioni interne alla vita del primo partito del Parlamento sono bloccate. Una per tutte? Questa è bella: Vito Petrocelli, l’ormai ex presidente della commissione Esteri accusato – e a ragione – di filoputinismo è ancora un iscritto del M5s a tutti gli effetti. Conte lo ha espulso dal gruppo parlamentare, ma non dal partito. E nemmeno lo ha sospeso. Immobili anche tre probiviri del M5s. Al di là delle dichiarazioni, Jacopo Berti, Fabiana Dadone e Riccardo Fraccaro non hanno preso alcun provvedimento nei confronti di “Petrov”. Come conferma lui stesso al Foglio: “Sì, sono uscito dal gruppo parlamentare, ma non ho ricevuto alcuna comunicazione ufficiale dal partito”. I probiviri non prendono decisioni fino a quando il tribunale di Napoli non si esprimerà. E se dovesse bloccare di nuovo la leadership di Conte, forse questa volta la creazione di una nuova “cosa” sarebbe più che necessaria.
Poi ci sono le elezioni amministrative del 12 giugno: la certificazione di quanto i grillini siano scomparsi dal tessuto locale italiano. Alleati ininfluenti del Pd, assenti in moltissimi comuni, con solo un paio di candidati sindaco e basta, e nei centri più piccoli. Per capire le mosse di Conte, dunque, bisogna partire da queste due premesse: quella giudiziaria interna e quella politica delle amministrative.
Dinamiche che si intrecciano con la vita del M5s. Anche ieri sera i parlamentari romani, capitanati da Francesco Silvestri, si sono riuniti con i consiglieri regionali del Lazio e con l’assessore all’Ambiente Roberta Lombardi. Riunioni per lavorare e limare l’emendamento che i grillini vogliono presentare al dl Aiuti. Un provvedimento da 14 miliardi di euro che in pancia contiene anche la norma sul termovalorizzatore. O meglio: conferisce al sindaco di Roma Roberto Gualtieri i poteri per costruirlo in deroga al piano regionale che non prevede questo tipo di tecnologia. Se Draghi ponesse la questione di fiducia sul decreto, come molto probabile, come si comporterebbe il M5s?
Conte lavora per fare in modo di poter dire: io ce la metto tutta, ma il governo mi deve ascoltare. E non umiliare. Dalle parti di Draghi non si sbilanciano sul dl Aiuti e sulla possibile fiducia: “E’ presto, lavoriamo su altri dossier. Prima c’è la Concorrenza”. Ma la tensione monta. Anche perché nessuno si sente di escludere un possibile quarto invio di armi all’Ucraina per liberare il porto di Odessa. Come si comporterebbe Conte? E Matteo Salvini? Scenari che tormentano il M5s, anche l’ala più governista di Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri però sembra intenzionato a seguire il capo grillino in qualsiasi mossa nonostante tutto. Nessuno strappo, né scissione: “Il M5s è casa mia”.