Il retroscena
Di Maio e Letta alludono a nuove armi all'Ucraina. Conte ribadisce "no al quarto invio"
Il segretario del Pd preoccupato dalle intenzioni del capo del M5s. Intanto il ministro degli Esteri dice che la guerra sarà lunga
“Questo è un Draghi bis”. Cioè? “Dopo il Quirinale, il premier ha perso la presa che aveva sulla maggioranza, e dunque si è aperta un’altra fase. Un po’ si balla e un po’ si va avanti, per via della guerra, per forza di inerzia”. In un torrido Transatlantico, i peones pensano alle uscite serali, ma capita anche di scontrarsi con analisi politiche di cui tenere conto. Come questa di un autorevole deputato del Pd, che ne ha viste davvero tante. Intanto il segretario dem Enrico Letta dice che il problema è Matteo Salvini, ma sotto sotto è preoccupato anche per le mosse di Conte. A cui viene imputata la voglia di strappare. Di uscire dal governo.
La giornata si impenna in serata. Quando il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, espressione del M5s, a proposito della guerra in Ucraina afferma che “oggi non ci sono le condizioni per la pace, abbiamo di fronte una guerra lunga e logorante”. Una frase importante, seppur in un contesto molto più articolato rappresentato dal ministro degli Esteri a proposito del conflitto in atto e degli sforzi “embrionali” per raggiungere la pace o almeno il cessate il fuoco.
Questo significa, tradotto in soldoni, che per la Farnesina non è da escludere – partendo da dati di realtà – un quarto invio di armi all’Ucraina. Anzi, l’ipotesi è più che verosimile. Tanto che gira anche una data: i primi di giugno. Le agenzie di stampa arrivano anche dalle parti di Giuseppe Conte, pronto a dedicarsi nel fine settimana alle amministrative con un mini tour nei comuni laziali dove si andrà al voto. Davanti alle parole di Di Maio la reazione di chi conosce ogni singola intenzione di Conte è netta: “Per noi non cambia nulla. Abbiamo già detto in tutte le salse che ci saremmo opposti a un quarto invio di armi perché la strada da perseguire è un’altra. E così sarà”. Peccato, però, che sulla posizione del ministro degli Esteri alle fine ci si ritrovi anche Enrico Letta. Ecco il segretario del Pd: “Oggi la priorità dovrebbe essere una iniziativa umanitaria e militare per portare via il grano dal porto di Odessa”. Attenzione agli aggettivi legati alla parola iniziativa auspicata: umanitaria e, appunto, militare. Anche il capo del Nazareno non è esplicito nel parlare di nuove forniture belliche, ma insomma è tutto fuorché contrario. Entra nel merito e spiega a cosa servirebbero e servono le armi agli ucraini. Si ricompone così il solito quadro, che si trascina in maniera un po’ stanca ormai da settimane. E sempre con le insolite ma ormai rodate terne: da una parte Letta, Di Maio e Meloni, dall’altra Conte, Salvini con l’aggiunta, new entry, di un bel pezzo di Forza Italia.
Dalle parti del segretario del Pd, per esempio, non credono che fra Salvini e Conte ci sia alla fine un gioco di sponda. Ma allo stesso tempo sono consapevoli che un’eventuale mossa del capo del M5s potrebbe in qualche modo far scaturire la reazione del leader del Carroccio. Per essere chiari: se Conte dicesse che vuole uscire dalla maggioranza, come farebbe Salvini a restare al governo con il Pd, oltre che con Forza Italia? Sono dilemmi da prime granite al limone, va bene. Ma anche Letta, nelle sue conversazioni riservate con ministri e membri della segreteria, sbuffa e scuote la testa. Il “complicato alleato” continua a essere di difficile comprensione, per il segretario del Pd. Nel quartier generale dei dem ormai sono diventati esperti di cose grilline, come certi giornalisti specializzati. E quindi si domandano: “Cosa farà Conte se il tribunale di Napoli il 7 giugno dovesse di nuovo bloccare la sua leadership? Lancerà un nuovo partito?”. E ancora: “E’ vero – dicono nel Pd – che Giuseppe vuole correre da solo alle prossime elezioni, magari strappando il prima possibile? Gli editoriali del Fatto non sono commenti, ma indicazioni politiche da non sottovalutare, lo dice la storia del M5s”. Come raccontato ieri, il mese di giugno potrebbe spingere il capo del M5s al fatidico gesto. Non gli mancherebbero le occasioni, volendo: guerra, termovalorizzatore, la disfatta alle comunali, la questione interna dello statuto. Ora, per dirla tutta: i parlamentari grillini non credono a una fine traumatica della legislatura e nemmeno a turbolenze particolari. E però il tramestio c’è, sotto sotto. Se uno come Carlo Sibilia, sottosegretario al ministero dell’Interno e dunque pentastellato graduato, dice che “è giusto e sacrosanto che il nome di Conte finisca nel simbolo” qualcosa vorrà pur dire. In questa fase, al di là di Conte, le truppe M5s sono spaesate, anche quelle vicine a Di Maio. Enrico Letta osserva convinto che da questo caos difficilmente potrà uscire qualcosa di buono.