il ricordo
Cosa resterà del pensiero politico di Ciriaco De Mita
Gli anni da segretario, l'apertura a Craxi. Era un leader culturalmente forte, con una spigolosità superata dal ragionamento. L'auspicio è che il paese ne riscopra la grandezza
La paura era nell’aria tra i tantissimi amici democristiani della Campania, una paura che questa volta Ciriaco potesse non farcela dopo la frattura del femore ed il successivo intervento chirurgico. E questa mattina puntuale è arrivata la ferale notizia. Ciriaco de Mita è volato verso il suo Dio nel quale credeva con la fede dei forti e nell’animo dei democratici cristiani è scattato subito una carrellata di ricordi. Ricordi personali di una vita passata insieme nel più grande partito politico della storia unitaria del paese con tutti i suoi alti e bassi nei rapporti politici e personali.
De Mita era un leader politico culturalmente forte e determinato con un temperamento che aveva le sue spigolosita ma sempre superate, dentro e fuori dal partito, con il ragionamento politico. Negli ultimi tempi gli mancava tutto questo tanto che in ogni occasione ricordava come nella stagione presente il grande assente era il pensiero politico senza del quale non può esserci visione e il potere si rimpicciolisce diventando poco più che modesta amministrazione. Era la sua sofferenza permanente mentre riconfermava con forza la sua appartenenza alla cultura democristiana o popolare che dir si voglia.
De Mita era uno studioso ed un ammiratore di Luigi Sturzo e delle sue radici popolari e nella sua lunga segreteria nazionale il profilo culturale del partito era per lui sempre tra le cose più urgenti e piu necessarie da tutelare e da ammodernare. Cercò non a caso di vivificare il rapporto tra il partito e la società italiana dopo la sconfitta del 1983 in cui la Dc perse sei punti. Mentre rilanciava l’alleanza politica con i socialisti offrendo loro per la prima volta la responsabilita della presidenza del Consiglio con Bettino Craxi introdusse infatti nella vita del partito i cosidetti esterni, personalità non iscritte al partito ma elettori o estimatori della DC, coinvolti negli organi sovrani del partito.
La riforma dello Stato era uno dei suoi pensieri fissi e visse la sua esperienza di presidenza della commissione bicamerale nel 1992 con grande entusiasmo e grande dedizione nel mentre avanza a passi spediti quell’intreccio di potere e di interessi che liquidò l’assetto politico democratico che il paese si era dato aprendo le porte a questa decadente stagione nella quale tutti i riferimenti culturali e politici sono scomparsi. De Mita fece anche qualche passo falso sollecitato più dai suoi più stretti amici che non dal proprio desiderio quando tentò, nel febbraio del 1989, di essere ad un tempo segretario del partito e presidente del Consiglio. In quella occasione Ciriaco dimenticò che la Democrazia cristiana era strutturalmente contraria alla concentrazione del potere in una sola persona e così, come fu per Fanfani alla fine degli anni cinquanta, Ciriaco fini per perdere in pochi mesi e la segreteria del partito e la presidenza del Consiglio. Un passaggio difficile vissuto da De Mita però con grande serenità perché democristiano nel profondo e sapeva, come amava dire Fanfani, che nella DC c’erano le pasque e le quaresime.
Anche sul piano internazionale De Mita fu vicino ai movimenti democratici come Solidarnosc ed aiutò non poco il lungo cammino della perestroika di Mikhail Gorbaciov nel suo tentativo di democratizzare, per quanto possibile, l’Unione Societica. Uno dei punti che farà discutere gli storici è l’attrazione di De Mita verso il Pci che poi non a caso nel 1996 non volle candidarlo con la complicità dell’Ulivo di Romano Prodi perché stava avanzando, con l’abito nuovo, il vecchio della politica sconfitta dalla Storia limitandosi a fare la desistenza nel suo collegio uninominale irpino. Con tutte le sue asperità caratteriali De Mita è stato un punto di riferimento della storia della Dc e del paese ed il suo richiamo negli ultimi tempi a riscoprire la forza di un pensiero politico resta il suo testamento per le nuove generazioni sulle cui spalle è posto il futuro di un paese ridotto a poco più di una colonia di rango.