La missione per sminare il porto di Odessa, i venti milioni di tonnellate di grano bloccati, la devastazione nei campi. Mykola Solskyi, da Kyiv, ci spiega la "guerra della fame" del Cremlino. "Ci sono margini per un cessate il fuoco momentaneo, non per la pace. Ora dobbiamo resistere". Le armi dell'Italia in Donbas
La speranza in un’incrinatura della voce, un lusso che il suo pragmatismo fatto di poche parole si concede appena. “Qualsiasi sforzo, da qualunque parte venga, è il benvenuto. E all’Italia non possiamo che essere grati, anche perché proprio in questi giorni sono arrivate sul fronte orientale le vostre armi, che ci aiutano nella resistenza contro l’invasore”. Mykola Solskyi, poi, dell’impegno di Mario Draghi di queste ultime ore è spettatore interessatissimo proprio per le deleghe che gestisce nel governo ucraino. Perché lì, tra una telefonata con Putin, giovedì, e una con Zelensky nella giornata di ieri, nel tentativo di creare dei corridoi alimentari, c’è il destino sospeso di quest’uomo stanco, quarantatreenne dagli occhi appesantiti (“Tempo per dormire ce n’è poco”) che parla tra uno sbuffo e l’altro della sua sigaretta elettronica, davanti a una webcam, con alle spalle una bandiera gialla e blu e una libreria semivuota, nel suo ufficio a Kyiv. Mykola Solskyi dal 24 marzo è ministro dell’Agricoltura del suo paese. E si ritrova a dover gestire la più grave crisi alimentare dei tempi recenti. La speranza, dunque, mista al disincanto. “C’è forse una possibilità per arrivare a un cessate il fuoco locale e sbloccare i porti del Mar Nero. Ma è difficile pensare che questo possa essere il primo passo verso una de-escalation”. Si aprirebbe un dialogo, però. “Ma non vorrei che sbagliaste a considerare le manovre di Putin. Per lui, questa catastrofe alimentare non è un incidente collaterale della guerra. E’ un obiettivo voluto, corrisponde a un suo interesse strategico”.
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