Il segnale dato da Matteo Zuppi, appena eletto capo dei vescovi italiani, è nuovo, preciso, clamoroso. Per la prima volta da vent’anni, visto che con questo secolo partì da Boston (2002) la campagna generalizzata contro gli abusi sessuali del clero cattolico, una impegnativa decisione della Chiesa sul contrasto al fenomeno non si presenta come una resa al mondo secolare. La Chiesa in questi due decenni ha fatto molto, ha diradato con atti concreti e pertinenti la zona grigia tra cura d’anime e autotutela dei preti, ha reso i vescovi e il Vaticano responsabili di una linea di ascolto e di favore alla denuncia, di testimonianza aperta e presa in carico da parte delle autorità di giustizia secolari degli abusi, trattati in modo sistemico come reati e non soltanto come peccati; non si contano i riconoscimenti dello scandalo, le scuse piene di vergogna alle vittime, da parte di cardinali, vescovi e papi, in particolare con gli appelli all’espiazione e gli incontri con gli abusati di Benedetto XVI; non si contano le azioni ecclesiastiche di rettifica di norme, costumi e abitudini relative alla formazione del clero, fino alla eliminazione del segreto pontificio decisa da Francesco.
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