La Glasnost del premier

Draghi tira le orecchie al Moscow Salvini: "Con la Russia serve trasparenza"

Carmelo Caruso

Il premier al vertice Ue ottiene la promessa del Price cap e risponde sul viaggio del leader della Lega: "L'asse del governo non si sposta". Ma a impensierire è sempre Conte

Chiama “prove di pace” i suoi provini in giro per l’Italia alla ricerca di cialtroni, birbanti e magliari. E’ il Pippo Baudo delle mezze tacche. Stiamo parlando di Matteo Salvini e questa è la risposta che Mario Draghi ha dato, a Bruxelles, quando gli è stato chiesto del viaggio in Russia del leader della Lega (roba ormai da Argonauti) e delle sue visite all’ambasciatore russo tenute segrete (tipo bacio di Hayez): “L’asse del governo non si sposta. Resta fermamente collocato nella Ue e nel rapporto storico transatlantico.  I rapporti tra personalità del governo e personalità russe devono essere trasparenti”. Forse veramente sta finendo qualcosa. Per raggiungere Mosca, Salvini si nasconde sottocoperta, chiede aiuto agli “scafisti” della diplomazia. Il clandestino oggi è lui.


Sta inflazionando il mercato della risata e causando licenziamenti di comici e autori: “Con Matteo Salvini non si può competere”. L’unica soluzione sarebbe dargli un programma in Rai. Magari una striscia. Ecco dunque perché anche Mario Draghi, subito dopo il vertice europeo, quello della verità, della glasnost, che in russo significa non a caso “trasparenza” (“le sanzioni alla Russia dureranno a lungo, non illudiamoci”; “il momento massimo dell’impatto delle sanzioni sarà dall’estate in poi” ha detto il premier) sorrideva quando gli rivolgevano la domanda su questo Salvini-Giasone che vuole andare a prendere, a Mosca, la vodka d’oro.

 

In altri tempi, Draghi, si sarebbe probabilmente infuriato per l’iniziativa, mai comunicata al governo, alla nostra diplomazia, oggi invece, quando pensa al segretario della Lega, gli devono tornare in mente gli studenti che abbandonano la Bocconi e dicono ai genitori: “Vado a cercare la pace in giro per il mondo”. Fanno rientro a casa, dopo un anno, con le treccine ai capelli, le ciabatte di paglia, le cuffie e la musica reggae sparata a tutto volume. Di solito occorre sempre un altro anno per guarirli dai fumi.

 

Salvini è insomma per il governo un generatore di risate, il talent scout di tutti gli intrallazzoni d’Italia. Nelle stanze di Palazzo Chigi, ad esempio, hanno iniziato a collezionare le interviste (se le scambiano per WhatsApp) di questo tale Antonio Capuano (che non è il regista reso famoso da Paolo Sorrentino, quello di “non ti disunire, non ti disunire”) ma niente meno che il nuovo “Sergio Romano di Salvini”, (ai leghisti: regalateglielo qualche buon libro!) l’Alto Rappresentante leghista di Russia Unita, l’italiano che fa politica estera con la mezza frase “Io ho legami”. Ormai lo sanno tutti che è “professione scafista”, il capitano che doveva portare a Mosca il Capitano migrante. Insieme, Salvini e Capuano, sono i protagonisti di “Vogliamo i negoziatori” il remake del film “Vogliamo i colonnelli”. Vendono piani di pace al posto dei piani di golpe, quelli che nel film di Monicelli commerciavano l’onorevole Giuseppe Tritoni, Ugo Tognazzi, con i suoi compari.

 

Per ogni intervista che questo Capuano rilascia un governatore della Lega collassa. Ancora peggio è quando ascoltano Salvini ripetere: “Non vado a Mosca. Embè. Io sto con i miei figli”. Uno di loro avrebbe detto: “Ma la smetta di nominare i figli! Che c’entra”. Oggi, era come se neppure Draghi volesse suonarlo a fagioli e cazzotti, al contrario di quanto chiedeva Enrico Letta (“questa vicenda di Salvini non può concludersi a tarallucci e vino”).

 

Per il governo, Salvini è “ormai una questione di colore” e viene separata dalle grandi questioni internazionali. Sono il prezzo del gas su cui, dichiarava Draghi, “siamo stati accontentati. La Commissione ha ricevuto ufficialmente mandato di studiare il price cap”. Tra le grandissime c’è invece l’embargo del petrolio che passa con eccezioni, e a fine anno. C’è poi l’adesione dell’Ucraina nella Ue che, ha spiegato il premier, “trova l’obiezione di quasi tutti i grandi stati dell’Unione. Esclusa l’Italia”. E ci sarebbe ancora la grande questione della sicurezza alimentare del grano ucraino da salvare (ipotesi “trasportarlo su linee ferroviarie”).

 

Salvini, ed è l’idea del governo, in fin dei conti, è più innocuo di Giuseppe Conte. E’ imbrigliato da Giorgetti, dai suoi governatori ma anche dai suoi capigruppo, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo. Notano al governo: “Sulle armi all’Ucraina, i capigruppo della Lega, hanno difeso Draghi quasi con più veemenza del Pd”. L’incidente parlamentare, che si teme, non arriverà da Salvini, o almeno non sarà ispirato da Salvini, ma da Conte, un “Capuano che ce l’ha fatta”. Il 21 giugno, quando Draghi si presenterà in Aula per le comunicazioni, con successivo voto, il M5s potrebbe approfittare del triplete internazionale (Consiglio europeo, G7, vertice Nato) per “azzoppare” il premier, “commissariarlo”. Da giorni, Conte parla meno e taglia pure i capelli al popolo. Attenti, è un barbatrucco.

 

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio