Il Monza in serie A e il pisolino del Cav. L'happy ending è il destino di Berlusconi
Il sonnellino imperiale al gol del Monza è l’emblema della sovranità assoluta dell'ex premier su ogni circostanza, buona o cattiva. Festeggiare è la sua natura
Il sonnellino imperiale del Cav. al momento del passaggio del Monza in serie A certifica lo status unico di quest’uomo che ha preso in carico per tanti anni la Repubblica scassata dalle cosche e dai magistrati, in parte l’ha rafforzata in parte l’ha svuotata, e ora vive una età politicamente postuma al sé stesso di ieri ma illuminata dalla mite indifferenza ai fatti, perfino ai gol, e dalla grandeur simbolica. Una crusading prosecutor femmina, una fra tante, nei giorni scorsi ha parlato o meglio sparlato di lui, nel processo dell’impiccionismo moralistico e del comune senso del pudore anni Cinquanta, coda velenosa di una banale ma accanita persecuzione personale, come di un “grande anziano malato” ossessionato dalle sue schiave e odalische.
Il suo partito personale si starà pure un po’ sfasciando, e le sue posizioni personali su guerra e pace a tratti, ma sempre poi astutamente corrette, risentono di elementi privati come l’amicizia e gli affari, ma la sua parabola sembra inscalfibile, gli errori non lo toccano, i guai di ogni tipo gli arieggiano intorno e si ritraggono alla fine spaventati. Guai ai guai, sembra il suo motto postcesariano. E lui ha il physique du rôle del grande vecchio che in un sonnellino sovrano di primavera mescola, come dice il poeta, memoria e desiderio. La sua lezione magistrale, così popolare e al tempo stesso sottile, da vero moralista secentesco, è che i peccati si scontano vivendo. Ho sempre sostenuto tra lo scetticismo dei più che per motivi sacrosanti, tra i quali preminente la verità storica profonda, e in via accessoria la simpatia e il candore nella malizia, il tracciato umano, privato e pubblico di Berlusconi non può prevedere altro che un lieto fine, un happy ending iperhollywoodiano. Quell’appisolarsi durante il gol decisivo di un’altra storia mirabolante, calcistica, testimonia una padronanza del sé inaudita, la sovranità assoluta di un uomo sulle circostanze buone o cattive che lo attorniano.
D’altra parte la promozione del Monza nella prima serie arriva subito dopo la vittoria del Milan in campionato. Il Milan può essere del fondo finanziario che si voglia, e cambiare ancora proprietà, ma simbolicamente resta il suo Milan, il Milan del Cav., finché non saranno eguagliate le performance storiche della squadra di Arrigo Sacchi, con quelle derrate record di coppe e supercoppe che, presentandosi alle elezioni per la prima volta, Berlusconi oppose, come incongruo fattore di superiorità, alla scienza economica oxfordiana del compianto professor Spaventa, il suo competitore di collegio a Roma. Sicché nel giro di qualche giorno il Cav. ha festeggiato lo scudetto da un balcone di Piazza Duomo a Milano e la promozione del suo gioiellino privato e di corte all’ombra della Torre di Pisa. Il lieto fine assume dunque ora la veste di un derby prossimo a essere giocato: se vince il Milan, il Cav. festeggia, se vince il Monza, il Cav. festeggia. Se lo mettano in testa i sordidi nemici giudiziari dell’uomo con il sole in tasca: non può perdere, festeggiare è la sua natura.