La Meloni garantisce lealtà a Draghi, Conte sogna la rottura. Scambio di ruoli in vista del 21 giugno
La leader di FdI non ha dubbi: "non possiamo accettare che l'Italia passi come il ventre molle dell'occidente". A Palazzo Chigi si fidano di lei, in vista della conta al Senato. La stessa su cui gravita l'incognita del M5s. Paradossi populisti
Ci sta che la fermezza, a Giorgia Meloni, sia suggerita da quel Guido Crosetto che il dossier ucraino lo conosce assai bene, e ne guarda da vicino le evoluzioni: lui che, da presidente di Aiad, la branca confindustriale che riguarda difesa e aerospazio, gioca un ruolo non proprio defilato nelle trattative che coinvolgono in questi giorni il governo italiano per definire la nuova fornitura di macchinari e mezzi in sostegno a Kyiv. O forse ci sta, più semplicemente, quella che Ignazio La Russa definisce “coerenza storica”, e la definisce canticchiando: “Il mondo è rimasto a guardare, sull’orlo della fossa seduto”. I ragazzi di Buda, l’indifferenza occidentale davanti ai carri armati sovietici in Ungheria. Sta di fatto che a Palazzo Chigi l’inversione dei ruoli la considerano ormai cosa fatta. Da quando la Meloni, ormai più di due mesi fa, ha assicurato a Mario Draghi “piena disponibilità” per quanto riguarda l’impegno dell’Italia sul fronte di guerra, i colloqui tra la leader di Fratelli d’Italia e il presidente del Consiglio sono rimasti costanti, e quasi sempre cordiali. Al punto che se un’incognita permane, in vista delle comunicazioni al Parlamento per il prossimo Consiglio europeo di fine giugno, riguarda semmai Giuseppe Conte. “Cos’ha in mente?”, prova a capire Draghi, chiedendo ai non molti grillini di cui si fida, e da cui riceve risposte vaghe: “E chi lo sa?”. Ieri, per dire, tra i consiglieri dell’ex premier era tutto un fomentare le indiscrezioni sulle manovre centriste che mirano al Draghi bis, e che vedrebbero coinvolto pure Luigi Di Maio: “Scrivetelo: è a quello che puntano tutti, tranne noi”.
E così a qualcuno, dentro FdI, il dubbio è venuto: “Non è che finiamo per schiacciarci su Draghi, noi che stiamo all’opposizione?”. Ma la Meloni le incertezze le ha scacciate via predicando la virtù della coerenza. “Noi dobbiamo spiegare – ha catechizzato i suoi – che siamo contrari a chi vorrebbe portarci a recitare il ruolo della solita italietta, inaffidabile sul piano delle alleanze”. “Ma le sanzioni?”, le chiedono preoccupati i suoi. “Se mettessimo a rischio anche solo il 10 per cento della nostra credibilità con l’occidente – ribatte lei, serafica – rischieremmo ricadute economiche assai peggiori di quelle che derivano dal blocco dei commerci con la Russia”.
E insomma il paradosso sta qui: che il 21 giugno Conte potrebbe rinnegare una linea governista proprio mentre i meloniani la sostengono. La diserzione grillina e il collaborazionismo patriottico. Conte, all’idea, già si frega le mani. “Sarebbe la prova di quello che ripeto da tempo: che quella della Meloni non è un’opposizione”. Al che è perfino troppo facile, per donna Giorgia, accettare lo scambio delle parti in commedia. “Quello che noi non possiamo accettare è di consentire che l’Italia appaia l’anello debole della coalizione atlantica”, spiega ai suoi. Sostiene il governo che c’è, insomma, pensando forse a quello che verrà.
“Sarebbe un calcolo di corto respiro quello che ci indurrebbe ad assecondare le manovre spericolate di chi ora contraddice Draghi sul sostegno all’Ucraina”, conferma il senatore Giovanbattista Fazzolari. Che, in vista del voto sulla risoluzione del 21 giugno, non ha dubbi: “Se in ballo c’è il collocamento internazionale dell’Italia, non possiamo certo far prevalere logiche di tornaconto tattico”. Insiste La Russa: “Non possiamo che stare con l’aggredito. E’ la nostra storia”. E Conte? E Salvini? “Salvini ha una storia diversa, dalla nostra, e anche una postura un po’ più flessibile, diciamo, nei confronti della Russia. I Cinquestelle, beati loro, non hanno alcuna storia, possono permettersi qualsiasi incoerenza”.
L'editoriale dell'elefantino