Beppe Grillo e Marcello Minenna, direttore dell'Agenzia delle dogane

Il caso

Inchieste e assunzioni degli amici: così Grillo è diventato il garante debole del M5s

Simone Canettieri

Il fondatore MoVimento continua a essere rincorso dai guai. Nel partito inizia a montare una certa insofferenza e lui si sente accerchiato. Dopo le comunali Conte affronterà il nodo secondo mandato partendo dalla Sicilia

Davanti lo trattano con ossequio e reverenza. “Grazie infinite, grazie davvero”, gli scrive per esempio Paola Taverna quando serve che il vecchio capo indichi, come da bizantino statuto, Giuseppe Conte come leader del M5s. Tuttavia dietro le spalle di Beppe Grillo in molti  iniziano a fare ben altri ragionamenti. Fino a quando potrà essere garante nonostante i guai e gli inciampi che sembrano non dargli tregua? Prima la storia del figlio, poi l’indagine per traffico d’influenze per i contratti con Moby, ora l’assunzione del fratello di Nina Monti all’Agenzia delle dogane


Grillo, a cui non mancano le spalle larghe, si sente nel mirino. I suoi amici, quelli che lo seguono da una vita, vedono i fantasmi e ovviamente i complotti: “E’ in corso una strategia per distogliere l’attenzione sul tribunale di Napoli, la cui sentenza potrebbe essere esiziale per Conte e aprire a nuovi scenari. E così prima “Report”, poi la storia delle Dogane. Il risultato è che Beppe, politicamente parlando, è sempre più debole”. 
In verità gli ultimi fatti non sono collegati fra di loro. Ma di sicuro inizia a montare nel M5s una certa insofferenza, per ora sopita nei sussurri della buvette e nei corridoi della sede grillina, nei confronti del garante. Il contratto siglato da Grillo e dall’editor Nina Monti per aiutare la comunicazione del partito continua a non essere digerito. Entro il 15 giugno sarà messo nero su bianco nel bilancio dell’associazione che sarà pubblicato sul sito.
A far storcere il naso a molti ci sono appunto i 300 mila euro all’anno pattuiti nelle settimane scorse. Perché? Semplice: sono presi dalla cassaforte del Movimento. Ovvero: dal conto delle restituzioni dei parlamentari, da sempre tormentone pentastellato al ritmo “ci tagliamo lo stipendio per aiutare gli italiani”. In questo caso sono due in particolare i beneficiari con l’anomalia di un garante che è anche consulente del partito che dovrebbe sorvegliare. 
In più, come raccontato dal Foglio, è scoppiato il caso di Lorenzo Monti e cioè il fratello maggiore di Nina, ombra dell’ex comico. E’ la storia di un impiegato del Comune di Roma che in pochi anni è riuscito, sicuramente per meriti, a percorrere una brillante carriera all’Agenzia delle dogane diretta da Marcello Minenna, storico amico di Beppe e da sempre tra le menti economiche dei pentastellati (per il quale  già si parla di un seggio in Senato, in Puglia, la prossima legislatura). Monti da semplice funzionario è diventato alla fine dirigente, grazie a un bando interno molto puntuale e costruito sulle sue indiscusse capacità professionali. A Piazza Mastai, sede dell’Agenzia, ieri mattina hanno provato a giustificare il tutto raccontando che Minenna conobbe Monti nel 2016, nel periodo cioè in cui il dirigente della Consob lavorò per il commissario prefettizio Francesco Paolo Tronca, nominato dal governo dopo la caduta di Ignazio Marino e prima dell’elezione di Virginia Raggi. Un rapporto di stima che avrebbe spinto l’economista a volere a tutti costi con sé il bravo funzionario comunale anche a distanza di anni, appena sbarcato alle Dogane. Non è proprio così. Visto che il fratello di Nina Monti risulta essere stato assunto dal Campidoglio nel 2019 e dunque non era in servizio ai tempi di Tronca. Ma al di là di questi dettagli, rimangono i commenti di tanti big grillini davanti a questa storia. Il “reddito di fratellanza”: una vicenda che è pronta a sbarcare in Parlamento, grazie alle interrogazioni di Fratelli d’Italia e di un gruppo di ex grillini, ora transitati in L’alternativa c’è. Grillo, come sempre, preferisce parlare d’altro. Ieri dal suo blog ha rilanciato la battaglia sul salario minimo per allinearsi sempre di più al credo contiano, senza divagazioni sui grandi temi dell’ambiente, schivando con cura il bubbone della guerra in Ucraina. E però dopo le amministrative, come annunciato da Conte, arriveranno le novità per il M5s. Verranno formalizzati i rappresentanti territoriali e soprattutto si prenderà di petto la questione del secondo mandato. C’è molta fretta in casa grillina per sciogliere questo nodo, la fine dell’ultimo tabù della purezza. La corsa a scardinare questo vincolo è dovuta soprattutto alle regionali in Sicilia. Giancarlo Cancelleri, ora sottosegretario, si è è già candidato due volte. E vorrebbe tentare il tris. Solo che tecnicamente ha bisogno di una deroga. E dunque Conte deve affrontare subito l’argomento. Ci sarà un voto della base, si stabiliranno i paletti per concedere le ricandidature. Ma tutto dovrà passare dall’avallo almeno informale di Grillo. Sempre più stretto nella morsa dei guai personali e negli inciampi dei suoi collaboratori. Una posizione che difficilmente gli permetterà di esercitare un ruolo da protagonista. A meno che il tribunale di Napoli non mischi di nuovo tutte le carte.
      

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.