Viale Mazzini
Fine Rai Mai: dipendenti inamovibili, cause legali, professionalità disperse. È sprofondo
I dipendenti sono trattati come ostaggi dai direttori di rete. In Rai non esiste di fatto mobilità interna. Si moltiplicano gli straordinari ma anche i contenziosi. In tutto questo le repliche della concorrenzza superano i programmi della tv di stato
Roma. Sono “ergastolani” con il premio di produzione. Fine Rai mai. Sono i tanti dipendenti di un’azienda dove non esiste mobilità interna. Cosa accade quando un dipendente entra in collisione con colleghi e capi? In tutte le imprese moderne si chiede al responsabile del personale una nuova collocazione. In Rai non è possibile perché una tribù di direttori galattici pretende il riscatto: per ogni dipendente che vuole scappare ne serve uno che ne deve venire. Finisce che non si muove nessuno. Si appassisce. A Viale Mazzini c’è la più grande concentrazione nazionale di ulcere.
Leggerete questo articolo quando l’ad Rai, Carlo Fuortes, avrà già parlato in Commissione di Vigilanza e quando ai membri del Consiglio di amministrazione avrà presentato i nuovi palinsesti. Almeno così ha promesso. Francesco Giorgino è destinato a restare al Tg1, malgrado la pienissima disponibilità offerta dalla direzione del tg della prima rete a spostare velocemente il “mezzobusto” a un’altra rete. Era il grande nome della Lega per strappare la seconda serata di Rai 2 che resterà (anche questa) a Ilaria D’Amico.
In Rai si racconta che la Lega avrebbe rilanciato con Milo Infante, ovviamente vicedirettore dell’Approfondimento, ma che “mantiene transitoriamente l’incarico assegnato nella direzione di Rai2”. In Rai il transitorio equivale all’eternità. La capacità di trattare della Lega, in questo momento, va di pari passo con il calo dei voti tanto che Fuortes potrebbe chiudere la negoziazione offrendo alla Lega altre 6 puntate di “Generazione Z”, la striscia che, “personalmente”, si è già premurato di ricollocare in un’altra fascia oraria.
E’ il programma condotto da Monica Setta, amica antica di Salvini. Iniziando abbiamo però parlato degli “ergastolani Rai” e a loro torniamo. Sono quei dipendenti che vengono tenuti in cattività dai direttori di rete, dai tanti direttori che in Rai si sentono “acatapani”. Erano i governatori bizantini. La Rai è la multinazionale dei direttori. Vengono assemblati come le autovetture. La figura che si occupa del personale, si chiama Felice Ventura, ed è una figura che potrebbe essere tranquillamente superata. In quest’azienda è superflua. Come premesso, per ricollocare un giornalista, un dipendente, serve una merce di scambio. Sembra di stare nella Troia di Omero. Agamennone scambiava infatti Criseide con Briseide provocando l’ira di Achille. In Rai sono pacifisti: evitano l’ira dei capi achei. Puntano sulla decantazione dei malumori. A chi ha ancora voglia di lavorare, e soffre perché non si vede valorizzato, viene consigliato di recarsi alla farmacia vicina, di assumere Maloox, e di praticare “l’infrattamento”: nascondetevi!
A partire dal 2017, grazie agli incentivi di stato, la Rai ha accompagnato all’esodo migliaia di dipendenti. Il totale Rai è oggi 11.536. L’ultima uscita porta la data di febbraio dunque epoca Fuortes. 124 dipendenti hanno abbandonato l’azienda. Il paradosso è che la Rai è al momento “sguarnita”, e si virgoletta “sguarnita” perché lo raccontano dalla Rai stessa, di professionalità necessarie per realizzare i programmi. Mancano ad esempio autori. Da una parte la Rai spinge fuori, dall’altra la Rai indìce bandi di assunzione. La formazione resta un dettaglio. Le ultime reclute sono state gettate presso gli studi televisivi come le riserve vengono gettate al minuto 88 nella finale che si sta perdendo.
In Rai, in queste ultime settimane ci sono dipendenti che riescono a lavorare anche sei giorni su sette. Cumulano straordinari. Direte: “Meglio, producono, guadagnano”. Eh no. Quando va bene si traduce nel caos organizzativo (esemplare la donna che entrò in diretta con il mocio) quando va male, e va quasi sempre male, equivale a cause di lavoro, contenziosi che la Rai il più delle volte perde. Un articolo a parte servirebbe per elencare tutte le guarentigie che, se applicate, alla lettera, farebbero chiudere qualsiasi impresa editoriale.
Rainews 24 (si trova al canale 48 e già dice molto dell’attenzione che la Rai riserva a questa rete) è la “zona del disagio”, l’eldorado degli avvocati: “Stress, riposo notturno, turnazione non rispettata. Vinciamo a mani basse!”. Cosa genera tutto questo? Semplice. La Rai appalta sempre più all’esterno. Alberto Angela, che è l’eccellenza, di fatto ricorre unicamente a collaboratori esterni. Si dice che la Rai sia un servizio pubblico. Ma allora perché non lo fa? Un esempio, ed è del deputato Michele Anzaldi, è il “caso Firenze”.
A Palazzo Strozzi c’è una formidabile mostra su Donatello, con tanto di documentario. Interviste, approfondimenti… Lo ha prodotto Sky Arte. In Rai, come è ormai noto, una rete è interamente dedicata alle arti. Si tratta di Rai Cultura. Dove c’è la cultura manca però la Rai. Di fronte ai programmi ben fatti, alle idee originali, questa televisione potrebbe perfino infischiarsene degli ascolti. Ma quando mancano sia le prime che le seconde allora sì che è il tracollo.
I programmi del day time continuano a cedere rispetto a quelli di Mediaset. “Camper”, programma del mezzogiorno Rai, è stato battuto dalle repliche di “Forum”. La grande novità, che è vecchia, “L’Almanacco del giorno dopo”, affidato a Drusilla Foer, scende ogni giorno. Non basta dire che la Rai fa approfondimento. Per farlo servono riunioni costanti nel corso della giornata, la cura nello scegliere gli ospiti da invitare. La reazione della Lega era ad esempio preannunciata. Da settimane si ragiona su una possibile defezione dal governo da parte di Salvini. Lunedì sera, il vicesegretario della Lega, Lorenzo Fontana, ha dichiarato che la Lega “potrebbe uscire dall’esecutivo”. Era l’ospite giusto al posto giusto. Quel posto non era però la Rai ma “Quarta Repubblica” di Nicola Porro, la concorrenza. Ecco perché si continuerà a scrivere di Rai, ancora e ancora, fino a quando non si prenderà atto che è il “fascicolo”, la spia insopportabile di un collasso culturale, economico, aziendale. Pubblico.