(Foto di Ansa) 

rottura grillina

Cacciare Di Maio. Sennò scissione. Conte studia le contromosse

Simone Canettieri

Tra i malumori della casamatta cinquestelle, le strade per il capo della Farnesina sono due: o andarsene o cavalcare il malcontento dall'interno per prendersi il partito

“Lo cacciamo”. E così come per magia dalla sede del M5s arriva l’ordine della comunicazione. Fate uscire dichiarazioni di Alessandra Todde, viceministro e vicepresidente del M5s (in verità persona mite e riflessiva, nonché ultima arrivata nella casamatta grillina) che invoca la possibilità di “sanzioni per Luigi Di Maio decise dagli iscritti”. Insomma, altro che pugno duro con Putin, qui tocca torchiare il ministro degli Esteri. 
“Se ne va lui”. E allora sempre dalla sede del M5s, appartamento elegante a due passi dalla Camera con parquet miele e tende damascate alle finestre, parte un altro input. O meglio un messaggio da veicolare: “Di Maio se ne andrà prima della votazione sul terzo mandato, ma se se ne andasse dovrebbe lasciare la poltrona da ministro”. Auguri.

   
“E se ce ne andassimo noi?”. A un certo punto balugina anche questa ideuzza nella testa dei vertici del M5s. Quando la settimana prossima ci sarà la famosa risoluzione di maggioranza sulla relazione del premier Draghi, i grillini potrebbero mettere chiaro e tondo nel documento una frase secca “contro l’invio di armi all’Ucraina”. In questo modo, davanti a un documento solo del M5s, Di Maio e i suoi cari cosa farebbero? Se votassero in dissenso dal gruppo si metterebbero fuori dal partito. A dire il vero ieri il sottosegretario agli Affari europei Enzo Amendola ha iniziato a sondare la maggioranza su questo appuntamento parlamentare. Il clou – la parte che riguarda le armi – non è stata affrontata. Se ne riparlerà lunedì. E quindi anche questa ipotesi al momento è parcheggiata là, nel garage delle possibilità per togliersi di mezzo Di Maio.

   
Ecco arriva Conte. Sale le scale. Sta al telefono. E’ agitato. Nervoso. Non vuole vedere nessuno. “E’ concentrato”, veniamo subito corretti. La verità, almeno fino a ieri sera, è che nessuno sa come andrà a finire. Il titolare della Farnesina, in modalità escalation, con una zampata da Castellammare di Stabia è tornato ad attaccare Conte. “Con lui il M5s è diventato il partito dell’odio, si è radicalizzato, è fuori dal patto atlantico. E se dobbiamo tornare indietro, a prima del 2018 ci sto anche io: i nostri iscritti votino no al terzo mandato”. Una mossa, subito seguita dal deputato Sergio Battelli, volta a destabilizzare le truppe contiane. Dove di parlamentari bisognosi di deroga ce ne sono molti. In tutto, in entrambi i campi, sono una sessantanove. Ma l’ex premier ha nomi importanti dalla sua: Paola Taverna, Vito Crimi, Riccardo Fraccaro, Danilo Toninelli, Alfonso Bonafede, Fabiana Dadone, Federico D’Incà, Carlo Sibilia...  Prima che Di Maio parlasse, aveva battuto un colpo Beppe Grillo. Per ribadire che “chi è contro il limite dei due mandati si arrocca al potere”. Salvo aprire ad altre soluzioni: piccole deroghe o collocazioni in altre istituzioni (regioni, europarlamento, comuni). Insomma, una roba complicatissima solo a pensarla.  

   

Adesso si capisce perché Conte prima fosse così nervoso. La partita a scacchi – stile gatta con il topo con ruoli da definire volta per volta – con Di Maio è abbastanza snervante. Il ministro, come accaduto per il Quirinale, si tiene aperte diverse porte. Ma alla fine le soluzioni diventano due: se ne va e lancia una scissione o prova dall’interno, cavalcando il malcontento di chi non sarà più rieletto o chi è al secondo mandato, a riprendersi il partito. Operazione complicata. Anche perché dovrebbe avere il via libera di Grillo. Il garante giovedì sarà a Roma. E si troverà in mezzo a questo marasma. Per il giorno prima è in programma anche un’assemblea congiunta dei parlamentari. A dire il vero Grillo era atteso a Roma per parlare di soldi, niente beghe. Come si sa è legato al M5s oltre che da indubbio affetto anche da un contratto di consulenza per la comunicazione che si aggira intorno ai 300 mila euro (il documento è inaccessibile a tutti i parlamentari). Grillo e Conte scriveranno insieme il quesito sulla regola del secondo mandato da mettere in votazione entro la fine del mese. Prima sono previsti altri spasmi.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.