L'ex sindaco Paolo Pillitteri: "Alla guida di Milano? Ci vorrebbe Fedele Confalonieri"
Esponente di primo piano del Psi e della Milano anni Ottanta, a 81 anni ha sposato la giornalista milanese Cinzia Gelati. "Quella volta che andai da Craxi perché volevo fare il regista e lui mi disse: non capisci niente, la politica è tutto". Chiacchierata
Milano, esterno giorno. Nella centralissima via Manzoni Giorgio Armani, maniche di camicia arrotolate fino ai gomiti, sta allestendo la vetrina del negozio. Lo stilista cinge ai fianchi la sua Venere di plastica posizionandola al centro, in bella mostra. A interrompere il rituale è un ticchettio, gioioso e insistente, di due nocche sul vetro. “Paolo, ma sei tu! Che fai là fuori? Vieni dentro!”. A rievocare l’episodio è Paolo Pillitteri (81 anni), sindaco di Milano dal 1986 al 1992, esponente di spicco del Psi al massimo del suo splendore, fino all’istante prima della fine della Prima Repubblica. Ragionando in ere politiche siamo all’epoca degli arconti, del sinecismo dell’Attica intorno ad Atene; la ‘Milano da bere’ anni ‘80, per intenderci. Oggi ‘il Pilli’ siede a un tavolo del ristorante Don Lisander in via Manzoni 12, a quarant’anni e pochi metri di distanza dal luogo dell’incontro che ha generato il “Fiat lux” meneghino. Essenziale, ai fini del racconto, la presenza discreta di Cinzia Gelati: ragazza prodigio del socialismo milanese, Cinzia è stata - tra le altre cose - addetta stampa di Bettino Craxi, collaboratrice di Gianni Brera e dell’europarlamentare cecoslovacco Jiří Pelikán (promotore della Primavera di Praga del 1968, nda). Attualmente è capo ufficio stampa di MM, la società della metropolitana di Milano. L’ultima, rocambolesca impresa risale al 10 giugno, data del suo matrimonio con Paolo Pillitteri: “l’unico vero contrasto tra noi - dice - riguarda la fede calcistica. Lui interista da sempre, io juventina”.
Pur avendo fatto le cose con sobrietà e discrezione, del matrimonio tra l’ex sindaco Pillitteri e la giornalista (celebrato dieci giorni fa nella splendida cornice di Villa Litta - Modignani a Milano) si è parlato molto. “È stata una festa bellissima. Abbiamo ricevuto, nella notte, una meravigliosa telefonata di Pier Ferdinando Casini: ha voluto in anteprima le fotografie che Umberto Pizzi ha scattato durante la cerimonia. Anche Mastella ci ha fatto gli auguri, è stato gentile”. A suggellare il patto di amore eterno il sindaco Sala, in veste di officiante: “È rimasto stupito dal fatto che come marcia nuziale abbiamo voluto ‘O mia bela Madunina’ (Giovanni D’Anzi, 1934). Ci ha confessato che era la prima volta che gli capitava, ma alla fine ha cantato anche lui!”. Ma di politica se n’è parlato? “In realtà - dice Pillitteri - io e Sala abbiamo stabilito una cosa: tutto sommato, oggi come ieri, ‘Milan l’è on gran Milan’!”. E poi? “E poi io ho continuato così: “Pòrta Cicca e la Bovisa, che dintorni pròpi san/E la nebbia che bellezza, la va giò per i polmon…” (Lassa pur ch'el mond el disa/ma Milan l'è on gran Milan, Giovanni D’Anzi, 1939).
Insomma, par di capire che la politica di oggi non susciti particolari entusiasmi. “Io - prosegue Pillitteri - sono stato pessimista in passato, oggi non lo sono più. E sai perché? Perché non c’è più niente da fare. È come se ogni cosa procedesse per inerzia. Giorni fa, con alcuni amici, si parlava delle ultime amministrative: chi ha vinto? La destra. No, la sinistra! La verità è che hanno vinto entrambi o nessuno, tanto è lo stesso!”. Gli attuali partiti sono contenitori vuoti, dai contenuti interscambiabili? “Prima ogni partito aveva una sua sostanza, che traeva dall’opinione pubblica e dal ceto sociale di riferimento. Oggi la ‘substantia’, l’elemento primigenio e vivificante, non c’è più”. E il contatto con i cittadini è filtrato dai sondaggi, dai social network, dal web…“Il problema è anche di natura organizzativa. Negli anni ’80 Milano era divisa in 20 zone e il Psi aveva in totale 65 sezioni e 20 coordinatori. Ciascuno di loro era un recettore e portava ai consiglieri comunali le esigenze dei quartieri. Ai tempi non esisteva questa spaccatura tra rappresentanti e rappresentati”. Era un’altra epoca: attivismo politico o libera impresa, le persone si approcciavano alle cose in maniera più scanzonata e ottimista. Forse anche con un po’ più di spericolatezza di oggi.
“La Milano anni ’80 - prosegue Pillitteri - era sorridente, positiva, era veramente la ‘Milano da bere’. Una città che non ti regalava niente ma ti metteva nella condizione di realizzare i tuoi sogni. Dopo il trauma degli anni di piombo finalmente si poteva uscire la sera, le claire dei negozi erano sempre sollevate, c’era un benessere diffuso. In quegli anni esplose il fenomeno rivoluzionario della tv privata, che ruppe uno schema anche nel cinema di qualità, introducendo un altro modo di guardare alle cose e di farle proprie”. Fu in quel periodo che nel pantheon delle divinità cittadine s’impose una nuova dea: la Moda. E la mente torna a Giorgio Armani, indaffarato dietro la vetrina del suo negozio in via Manzoni. “Puntare sulla moda è stata una grande scommessa vinta. ‘Pilli ha in testa solo le modelle’ ripetevano a pappagallo i miei detrattori. Ma la moda non è il suo riflesso glitterato e visibile bensì ciò che c’è dietro. La grande industria del tessuto, dell’artigianato, del design. L’indotto. Chi mi criticava era vittima della stessa visione superficiale che imputava erroneamente a me. Li ho sconfitti con la triade Armani, Naomi e Versace. In definitiva, la Milano anni ’80 era un grande contenitore dove tutti questi ingredienti sono stati messi a bollire, ma a una temperatura che non scottava. Sotto la Madonnina c’era spazio per tutti, non c’era invidia né odio”.
A creare una frattura tra il mondo di prima e quello attuale è stata quella che Pillitteri identifica come la Grande Cesura: Mani Pulite. “Siccome la politica è un fatto generico, inafferrabile, per eliminarla hanno colpito la sua incarnazione: i partiti. Con Tangentopoli la politica è stata ferita a morte: prima l’hanno criminalizzata e poi, in un continuo processo di svalutazione, siamo arrivati al magma indistinto di oggi”. A suffragare questa tesi è un piccolo episodio di cronaca locale: a breve i consiglieri comunali di Milano saranno sfrattati dalla loro sede storica di via Marino. Niente più uffici con affaccio in Galleria: il Comune ha deciso di mettere a reddito quegli spazi, affittandoli ai privati. Pare che i consiglieri si siano trovati da un giorno all’altro i tecnici in ufficio, intenti a prendere le misure. “È la delegittimazione totale, ma riusciremo a riprenderci. Noi italiani abbiamo sempre un gran culo”.
D’altro canto, oggi sono i grandi gruppi privati a trainare lo sviluppo, trasformando il paesaggio urbano con i loro grattacieli. Porta Nuova, la guglia incandescente della Torre Unicredit, il Dritto, il Curvo e lo Storto a City Life. Viene quasi da pensare che Milano - come Parigi, Londra, New York - sia un organismo autosufficiente. “Questo non è vero. Milano, ancora oggi, ha il suo simbolo massimo nel sindaco. I cittadini hanno in mente il loro sindaco, lo osservano, lo seguono”. E Beppe Sala come se la sta cavando al timone? “Non penso affatto male di Sala. Lo conosco poco, ma ritengo faccia bene il suo mestiere”. Guardando al centrodestra c’è qualcuno che potrebbe sconfiggerlo? “Sì, ce ne sono addirittura due. Il Dottor Vuoto e il Professor Pneumatico”. Eppure per il Pilli un ‘jolly’ da giocare ci sarebbe. “Avevo consigliato a Fedele Confalonieri di candidarsi. Sarebbe un grande sindaco, è un uomo coltissimo. A suo dire il problema era l’età, Fedele è del 1937. ‘Non posso farlo Pilli - mi disse -, non sono mica un ragazzino come te!’”.
Il presente irrompe sulla scena, chiede di essere valutato. “La Milano di oggi è ancora ricca, è il contesto a essere cambiato. Questa città è generosa, si offre, il problema è che sono in pochi a offrirsi a lei. Del resto, quando si percepisce il reddito di cittadinanza chi te lo fa fare di buttarti, di dare il meglio di te? Milano è rimasta amareggiata da questa carità”. Nonostante il recente esodo (ventimila abitanti in meno negli ultimi due anni), il capoluogo lombardo funge ancora da magnete. “Sì, Milano non sta mai con le mani in mano. Ho notato che si presentano tanti libri: ora ne sto scrivendo uno, quando sarà il momento vorrei si presentasse anche il mio”. Un memoir pillitteriano in fase di scrittura, è una notizia. “Sarà un sunto delle cose che ho fatto e di quelle che non sono riuscito a realizzare, delle persone che ho incontrato e di quelle che non sono riuscito a conoscere”. Tra le incompiute, Pillitteri mette al primo posto la ‘Grande Milano’, una rete politico - amministrativa capace di connettere la città con il suo vasto hinterland, oltre 4 milioni di abitanti. “Sono arrivato vicino all’obiettivo ma ci si è fermati al limite. Forse si tratta di un’ipotesi troppo grande e troppo vaga. Peccato, ci tenevo molto”. In realtà, col procedere degli anni si è verificato il fenomeno opposto: nel 1992, 61 comuni del milanese sono andati a far parte della nascente provincia di Lodi (227.000 abitanti) e tra il 2004 e il 2009 la provincia di Monza e della Brianza ha assorbito una popolazione complessiva di 800.000 abitanti. “È così. Il collasso della Grande Milano ha generato il suo contrario, la frammentazione”.
Abbandonati i rimpianti è il momento dei ricordi: quanti uomini straordinari ha incontrato Pillitteri lungo il suo percorso? “Beh, parecchi”. “Paolo - suggerisce Cinzia -, il Dalai Lama”. “Ricordo Ed Koch, il sindaco di New York. Di una semplicità assoluta, mi colpì molto. In quegli anni (1978 - 1989) Koch aveva letteralmente cambiato la Grande Mela, risanando il bilancio del comune e ingaggiando una dura lotta contro le gang criminali. Con il suo agire disinteressato stava rompendo le palle a molti, nelle alte sfere. Infatti lo hanno cacciato”. “Paolo, il Dalai Lama. Sei stato il primo sindaco a riceverlo!”. “Ho conosciuto anche Jacques Chirac, quando era sindaco di Parigi. Un uomo delizioso (‘Puzzava di aglio’, aggiunge Cinzia)”. “A un certo punto gli ho detto ‘sindaco, in te c’è veramente quella che noi chiamiamo la grandeur’. E sai cosa mi ha risposto? ‘Je sais’”. “Il Dalai Lama, Paolo…”. “Burt Lancaster! All’epoca si stava girando la miniserie tv de ‘I promessi sposi’ (1989) e io mi imposi con la Rai: ‘dovete prendere i grandi attori!’. Mi diedero ascolto e Lancaster fu scritturato per il ruolo del cardinale Federigo Borromeo. Un giorno ci incontriamo in centro e mentre attraversiamo piazza Duomo la folla ci porta in trionfo: viva Lancaster, viva il Pilli! Cose da pazzi. Lo porto dentro la cattedrale. In fondo alla navata una luce illuminava il pulpito. ‘Vedi?, gli dico, da lì parlava il cardinale’. Non se l’è fatto ripetere due volte. Ha raggiunto con un balzo il balconcino che gli avevo indicato e ha cominciato a declamare”. “Paolo ha incontrato anche il Dalai Lama, si è fermato per diversi giorni”. “Giusto, il Dalai Lama! Era il 1990 e a Tenzyn Gyatso era stato conferito da poco il premio Nobel per la Pace. A riceverlo fummo sia io che il cardinale Carlo Maria Martini. Nel tragitto verso Palazzo Marino, passeggiamo fianco a fianco in Galleria. Gli indicai il Duomo, chiedendogli se gli piacesse. Mi rispose di sì, aggiungendo che ‘la preghiera ci porta in alto’. ‘Anche a noi porta in alto - gli risposi -, ma lì dove c’è la Madunina, che è molto meglio”. Un ultimo nome? “Charlie Chaplin! Dal punto di vista artistico è stato uno dei miei grandi amori, gli ho dedicato anche un saggio. Quando è venuto a Milano mi ha commosso, era vecchio e debole. Io lo accarezzavo: ’maestro, maestro’…Rimase colpito dal mio calore. Era un uomo umile”.
Un cameriere ci raggiunge al tavolo, inizia a sparecchiare. “Vi ho rotto le scatole con i miei racconti?” si schermisce il Pilli. Ovviamente no. Siamo giunti alla fine ma è importante parlare dell’inizio. Tra gli incontri più importanti nella vita di Pillitteri non può non essere citato quello con Bettino Craxi. “Negli anni ’60 a muovermi era un amore smisurato per il cinema, giravo sempre per Milano con la mia cinepresa da 16 millimetri. Un giorno il mio amico Carlo Tognoli (sindaco di Milano dal 1976 al 1986, nda) mi dice: ‘devi conoscere Craxi’. Prima di entrare nella grande storia da statista e presidente del Consiglio, Bettino ha fatto un lungo percorso dentro le istituzioni. All’epoca - erano gli anni ’60, per l’appunto - era assessore alla Cultura del Comune di Milano. Un giorno mi presento davanti al suo ufficio. Dopo un po’ di anticamera la porta si apre di colpo e viene fuori un ormone alto, imponente. Era Bettino Craxi. Mi squadrò con due occhi gelidi: “Chi sei?’. Ero senza parole. ‘Sono Pillitteri’ replicai timidamente. ‘E cosa fai?’. Gli risposi in maniera spavalda: ‘Voglio fare il regista. Per me il cinema è tutto’. ‘Non capisci un cazzo - ribatté immediatamente -. La politica è tutto’. Poi se ne andò via, sbattendo la porta”. Aveva ragione lui? “Sì, la politica è tutto. Ma se Bettino avesse potuto vedere quella di oggi, probabilmente non la penserebbe più in questo modo”.