happy few
I nostri liberali non si rendono conto di essere minoranza rissosa e individualista
Quella del liberalismo politico, in Italia, è una storia di astio, dispetti e ripicche. Se continua così, a mancare sarà di nuovo l’happy ending
I liberali sono ovunque minoranza nel mondo. Liberali di tutti i paesi, unitevi! Sarebbe un programma per buoni lettori di libri e riviste, per ceti urbani lenti e riflessivi e qualche country gentleman disperso. Questo vale per Macron, che ha stabilmente con sé un quinto o un quarto dei francesi, a parte quando non ci sia alternativa fra lui e una enragée professionale di estrema destra. Anche in quel caso, lo si è visto domenica, la tentazione qualche settimana dopo è dargli una bella lezione di umiltà politica, a costo di rendere meno governabile il paese meno liberale del mondo. Nel 2017 fu diverso per via dell’effetto sorpresa e speranza, con il crollo delle certezze storiche e dei vecchi partiti. Il liberale astuto si era programmato come un riformatore radicale, se non un rivoluzionario. Diventato a sua volta un campione liberale di establishment, e non poteva che essere così, dopo una serie di terremoti sociali e politici, il presidente jupitérien è stato duramente castigato da destra e da sinistra.
Il minoritarismo liberale non conosce praticamente eccezioni. Solo in Inghilterra, per stare all’Europa geografica, pratiche e costumi di tradizionalismo liberale appartengono alla maggioranza morale della città, sebbene perfino l’esito della Brexit si configuri in parte una smentita dell’assunto (ma è da discutere). Negli Stati Uniti l’amore indiscutibile per libertà e diritto fa i conti, sempre di più e sempre più spesso, con il suo minaccioso opposto, una forma di populismo autoritario e fracassone ben interpretato dalle mitologie recenti dell’America first. I concetti di autonomia personale, individualismo, emulazione, responsabilità, concorrenza, competizione globale, mercato sono appunto concetti, e come direbbe Giulio Tremonti “con i concetti non si mangia”. Anche Carlo De Benedetti chiede al Pd, di cui si professa elettore, di gettare alle ortiche l’infatuazione liberale canonica, europeista eccetera, la sua ortodossia recente, che secondo molti avrebbe distaccato la sinistra dal popolo, e di convertire con sapienza la piattaforma liberale in idee radicali e profetismi buoni per vincere le elezioni in nome del popolo.
Non si rendono conto del loro statuto di minoranza rissosa e individualista i liberali del nostro centro politico. Renzi è stato un ottimo capo del governo e un leader costituzionale nel segno del riformismo referendario, non mancava di profetismo laico e spesso aveva molte ragioni dalla sua, ma ha perso alfine raggranellando due volte una cospicua minoranza del 40 per cento. Calenda prova a suonare una musica conservatrice e valoriale, come si dice, all’insegna della competenza per governare, e stacca una cedola del 20 per cento correndo da solo a Roma, un’impresa ancora una volta, ma ancora una volta di minoranza. Chi voglia leggersi il pamphlet di Panebianco e Teodori per l’editore Solferino vedrà che la storia del liberalismo in Italia, radicalismo referendario e maggioritario compreso, è una storia di rivalità, di dispetti, di astio infraumano, di accuse e controaccuse, di intolleranze morali e culturali, di cavillamenti teologico-impolitici, di grandi e buone idee soffiate nel vento dell’odio vigilante, tipico brodo di coltura in cui annaspano sempre le minoranze, specie se variamente illuminate in uno spazio sempre più ristretto.
Il renzismo dunque aveva prefigurato di un paio d’anni il macronismo, e la calenditudine promette spettacolo per noi happy few. Se continua così, con veti e controveti, a mancare sarà l’happy ending. Proprio come minaccia di succedere in Francia, sebbene il ribellismo costitutivo dei miei fratelli francesi sia pari solo al loro conformismo, mentre gli italiani sono genuinamente e serenamente sottomessi ma più informali. Io comunque vorrei non rivivere le elezioni del 2018 per il gusto di fare un’opposizione purista a un nuovo governo del contratto. Sbaglio?